Tutti i miei 4.000 metri
Il borgotarese Mauro Bernardi ci racconta la sua passione per la montagna e l'esperienza vissuta scalando ben venticinque cime poste a 4.000 metri
Mi affascinava quel camminare insieme, lo scalpiccio dei nostri passi, lasciare laggiù in basso la valle che non avevo mai contemplato dall’alto. Mi pareva grande, verde, con il fiume Taro che ne percorreva il fondo, serpeggiando tra il biancore dei suoi sassi. Raggiunta la vetta, il cielo era perfettamente limpido, all’orizzonte verso Nord, apparve il semicerchio cangiante delle Alpi. Mi colpì soprattutto guardando ad occidente, la piramide di una montagna che poi riconobbi come il Monviso. Decisi che, da grande, ne avrei raggiunto la cima.
In effetti fu la prima importante ascesa che realizzai. Seguirono tante ascensioni, il Civetta, monte Pelmo, il Sorapis, la Marmolada, il Gran Vernel, la cima del Vajolet, l’Antelao, Le Pale di San Martino, la centrale delle cime di Lavaredo, la Roda di Vael, il Catinaccio di Antermoia, il Duranno, il Disgrazia, l’Ortles, il Gran Zebrù, l’Adamello, Il Cevedale, la cima Tresero, il Campanile di Montanaia, il Similaun, la Croda de Toni, la Torre Venezia nel gruppo del Civetta e poi il Sassolungo, che per lunghezza e difficoltà tecnica si è rivelato particolarmente impegnativo.
Con mio figlio Paolo, sperimentai il mio secondo 4.000 metri, dopo il Gran Paradiso, la Punta Gnifetti sul Rosa, la montagna che più amo. Da allora lo sguardo si è rivolto alle cime dei “4.000”. Agli inizi di primavera ho l’impressione di percepire il richiamo della montagna, con la quale ho costruito una relazione profonda fondata sul rispetto, conoscenza e amicizia.
Ogni ascensione comporta lo studio delle caratteristiche geologiche della montagna, l’era di emersione, il tipo di roccia che condiziona la modalità di approccio tecnico. La composizione mineralogica dona alle mani che vi si aggrappano sensazioni diverse: di rugosità, di superficie liscia, di appigli ampi o tacche a malapena visibili. Le mani sulla roccia, creano la percezione di una simbiosi con la natura. Studio la vegetazione, in particolare i fiori, che donano leggerezza al cammino. La cultura che sopravvive a ridosso della montagna, le prime ascensioni. Salendo in vetta, legato alla guida, si rivela la nostra fragilità e la nostra infinita piccolezza rispetto al creato. La corda ci richiama alla consapevolezza che la vita va affrontata insieme, se vogliamo costruire comunità più giuste ed aperte al futuro.
Con la mia guida Patrick della val d’Ayas, abbiamo salito tutti i 4.000 del Rosa escluse la Dufour e la Nordend. Particolarmente affascinanti le salite al Dente del Gigante e al Bernina, una vetta davvero splendida. Quest’anno ho scoperto il Cantone Vallese in Svizzera, nel comprensorio di Saas Fe e la corona delle sue cime. In collaborazione con le guide svizzere, abbiano salito tra luglio ed agosto cinque vette, sempre oltre i 4.000 metri. Il cuore delle mie ascensioni è il muovermi nella dimensione della verticalità. Lassù si vive una profonda sensazione di libertà, forse la comprensione più autentica della verità sulla nostra vita.
Bellissimo... sono stata anch'io in quasi tutti questi luoghi meravigliosi ma x sentieri perché soffro di vertigini e non riuscirei mai a salire nel vuoto...
Complimenti dottore
Le candide e silenziose fotografie del nostro bravo alpinista, riportano (per coloro che hanno la mia età) ad un noto jingle televisivo. Per i più giovani recitava così : "Sempre più in alto con grappa Bocchino", declamava il Mike Bongiorno d'antan.
https://www.youtube.com/watch?v=W6XZvsTnt0U
Caro Mauro,
bellissime le tue fotografie e le escursioni oltre i quattromila.
La tua mamma Edvige ti protegge e ti ha donato un D.N.A. che ti consente queste imprese alpinistiche. Che tu, oggi, condividi in Esvaso.
Cento ancora di queste scalate, caro amico.
Claudio
Sono rimasto basito ed avvolto da una ammirazione infinita per le imprese compiute dal ns. doctor. Il tutto documentato da foto incantevoli che ti fanno innamorare di quelle montagne a prima vista. Qui non si tratta solo di fare delle passeggiate turistiche ma di arrampicate da autentico alpinista. Infatti lo abbiamo visto abbarbicato su una parete rocciosa che mi ha fatto venire i brividi. Oltretutto muoversi con un freddo polare a quattromila metri di altezza con l'aria rarefatta, dove la fatica raggiunge livelli impensabili, significa avere un coraggio mostruoso ed un fisico... bestiale.
Grazie dottore !!! Per quanto scontato Le dico che l'ammirazione nei suoi confronti è infinita.