13 - 20 Novembre 2022
Tutti i miei 4.000 metri
Il borgotarese Mauro Bernardi ci racconta la sua passione per la montagna e l'esperienza vissuta scalando ben venticinque cime poste a 4.000 metri
Qualcuno mi chiede, come nasce la mia passione per la montagna. Ho un antico ricordo della prima gita sul Maggiorasca con i miei compagni dell’oratorio, accompagnati dal nostro amatissimo curato don Sandro. Ricordo le scarpette da ginnastica, la borsa a tracolla con i panini che le mamme ci avevano preparato con un po' di apprensione. La prima sensazione, fu quella di scoprire che non tutti salivamo con lo stesso ritmo e la stessa sicurezza. Allora imparammo ad aspettarci. Anche oggi, quando accompagno il gruppo CAI in escursione, l’impegno è quello di prendere il ritmo dell’ultimo.
Mi affascinava quel camminare insieme, lo scalpiccio dei nostri passi, lasciare laggiù in basso la valle che non avevo mai contemplato dall’alto. Mi pareva grande, verde, con il fiume Taro che ne percorreva il fondo, serpeggiando tra il biancore dei suoi sassi. Raggiunta la vetta, il cielo era perfettamente limpido, all’orizzonte verso Nord, apparve il semicerchio cangiante delle Alpi. Mi colpì soprattutto guardando ad occidente, la piramide di una montagna che poi riconobbi come il Monviso. Decisi che, da grande, ne avrei raggiunto la cima.
In effetti fu la prima importante ascesa che realizzai. Seguirono tante ascensioni, il Civetta, monte Pelmo, il Sorapis, la Marmolada, il Gran Vernel, la cima del Vajolet, l’Antelao, Le Pale di San Martino, la centrale delle cime di Lavaredo, la Roda di Vael, il Catinaccio di Antermoia, il Duranno, il Disgrazia, l’Ortles, il Gran Zebrù, l’Adamello, Il Cevedale, la cima Tresero, il Campanile di Montanaia, il Similaun, la Croda de Toni, la Torre Venezia nel gruppo del Civetta e poi il Sassolungo, che per lunghezza e difficoltà tecnica si è rivelato particolarmente impegnativo.
Con mio figlio Paolo, sperimentai il mio secondo 4.000 metri, dopo il Gran Paradiso, la Punta Gnifetti sul Rosa, la montagna che più amo. Da allora lo sguardo si è rivolto alle cime dei “4.000”. Agli inizi di primavera ho l’impressione di percepire il richiamo della montagna, con la quale ho costruito una relazione profonda fondata sul rispetto, conoscenza e amicizia.
Ogni ascensione comporta lo studio delle caratteristiche geologiche della montagna, l’era di emersione, il tipo di roccia che condiziona la modalità di approccio tecnico. La composizione mineralogica dona alle mani che vi si aggrappano sensazioni diverse: di rugosità, di superficie liscia, di appigli ampi o tacche a malapena visibili. Le mani sulla roccia, creano la percezione di una simbiosi con la natura. Studio la vegetazione, in particolare i fiori, che donano leggerezza al cammino. La cultura che sopravvive a ridosso della montagna, le prime ascensioni. Salendo in vetta, legato alla guida, si rivela la nostra fragilità e la nostra infinita piccolezza rispetto al creato. La corda ci richiama alla consapevolezza che la vita va affrontata insieme, se vogliamo costruire comunità più giuste ed aperte al futuro.
Con la mia guida Patrick della val d’Ayas, abbiamo salito tutti i 4.000 del Rosa escluse la Dufour e la Nordend. Particolarmente affascinanti le salite al Dente del Gigante e al Bernina, una vetta davvero splendida. Quest’anno ho scoperto il Cantone Vallese in Svizzera, nel comprensorio di Saas Fe e la corona delle sue cime. In collaborazione con le guide svizzere, abbiano salito tra luglio ed agosto cinque vette, sempre oltre i 4.000 metri. Il cuore delle mie ascensioni è il muovermi nella dimensione della verticalità. Lassù si vive una profonda sensazione di libertà, forse la comprensione più autentica della verità sulla nostra vita.
Maria Rosa
21/11/2022Bellissimo... sono stata anch'io in quasi tutti questi luoghi meravigliosi ma x sentieri perché soffro di vertigini e non riuscirei mai a salire nel vuoto...
Complimenti dottore