Ermanno Olmi, il poeta contadino

Un affettuoso ricordo attraverso il suo film
Da quella mattina al cinema Orfeo sono passati quarant’anni. Era il 1978 quando i professori ci portarono alla proiezione del film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi. Allora avevo tredici anni e per me i film erano ben altra cosa: King Kong, Piedone l’africano, il Triangolo delle Bermude o quelli con Lino Banfi e Edwige Fenech. Fin dai primi minuti capii che quella volta c’era da dormire e non da farsela sotto dalla paura, tanto meno da sgranare gli occhi per assistere a una doccia proibita o scorgere un paio di tette nell’ampia scollatura o una coscia attraverso uno spacco vertiginoso.
 
Quella platea di ragazzini rumoreggiava, quasi nessuno prestava attenzione alle immagini, tanto meno a quel dialetto bergamasco, incomprensibile ai più. Così, la maggior parte di noi si dedicava ad altro: scartare caramelle, tirare le noccioline ai compagni o fare l’andirivieni nei bagni. Insomma, per dirla alla Fantozzi: “Quel film era una cagata pazzesca”.
Tutto cambiò quando lo rividi nei primi anni ’90 in quella cassetta VHS presa a noleggio. Solo allora capii l’importanza di quel film, tant’è che in certe giornate grigie e nevose diventa ancora oggi il mio caro compagno di divano e caminetto.
 
Un film che rappresenterà una delle pietre miliari nella storia del cinema italiano, un punto di riferimento per le future generazioni, un video-racconto dedicato a quel microcosmo sospeso tra la natura e una civiltà contadina ormai scomparsa, una testimonianza autentica di una quotidianità legata alle quattro stagioni e fatta di suoni, silenzi, riti, leggende, religiosità, abitudini, tradizioni e soprattutto di valori.
 
Non manca mai occasione, ogni qual volta mi capita di descrivere le nostre tradizioni contadine, di citare o portare ad esempio questo film. Anche “Lungo il fiume”, altro suo film-documentario dove racconta un viaggio dalle sorgenti alla foce del fiume Po, è un’altra importante testimonianza di quelle consuetudini che ormai sopravvivono solo nella memoria dei nostri nonni o proprio attraverso i sentimenti autentici e le emozioni poetiche del “Maestro” Ermanno Olmi... anche se non voleva essere chiamato così.


4 Commenti
  1. Roberto S.

    Uno spaccato di vita dei primi anni del secolo scorso che fa pensare a come sono cambiate le cose in un tempo relativamente breve sia in meglio che in peggio.
    Anche io ho ancora la videocassetta del film e ogni tanto lo riguardo in dialetto perché nella versione in italiano non è la stessa cosa. Vedi siamo già antichi noi che parliamo di videocassette, chissà come parleranno dei nostri tempi tra 100 anni.......

  2. Dolores

    Proprio il giorno della sua scomparsa, come fosse 'un segno'.... avevo guardato un pezzo del suo film "L'albero degli zoccoli". Spulciando su Esvaso che lo aveva inserito nel blog 'quando si faceva su il maiale'. Che film, che regista!
    Nell'età matura, si apprezzano i suoi capolavori che passeranno alla storia a testimoniare un tempo che fu e che raccoglie tutto: ricordi-valori-tradizioni.
    Buon viaggio Olmi e grazie!

  3. Cristina

    Anch'io la penso esattamente cosi'...grande Gigi che con la tua scrittura rendi omaggio alla poesia di questo grande estimatore della civilta' contadina...puro racconto inciso nella mente e negli occhi di noi che eravamo ragazzi ma che i nostri nonni o genitori hanno vissuto veramente...quindi nei nostri geni..come patrimonio e cultura. Immenso personaggio.

  4. Trilussa

    Uno spaccato veritiero della vita quotidiana contadina dei nostri nonni.
    Un quadro d'autore di gente semplice, che considera la terra come la madre.
    Un ritratto da guardare con occhi semplici, poetici e orgogliosi.

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