58 - 07 Maggio 2018
Ermanno Olmi, il poeta contadino
Un affettuoso ricordo attraverso il suo film
Da quella mattina al cinema Orfeo sono passati quarant’anni. Era il 1978 quando i professori ci portarono alla proiezione del film “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi. Allora avevo tredici anni e per me i film erano ben altra cosa: King Kong, Piedone l’africano, il Triangolo delle Bermude o quelli con Lino Banfi e Edwige Fenech. Fin dai primi minuti capii che quella volta c’era da dormire e non da farsela sotto dalla paura, tanto meno da sgranare gli occhi per assistere a una doccia proibita o scorgere un paio di tette nell’ampia scollatura o una coscia attraverso uno spacco vertiginoso.
Quella platea di ragazzini rumoreggiava, quasi nessuno prestava attenzione alle immagini, tanto meno a quel dialetto bergamasco, incomprensibile ai più. Così, la maggior parte di noi si dedicava ad altro: scartare caramelle, tirare le noccioline ai compagni o fare l’andirivieni nei bagni. Insomma, per dirla alla Fantozzi: “Quel film era una cagata pazzesca”.
Tutto cambiò quando lo rividi nei primi anni ’90 in quella cassetta VHS presa a noleggio. Solo allora capii l’importanza di quel film, tant’è che in certe giornate grigie e nevose diventa ancora oggi il mio caro compagno di divano e caminetto.
Un film che rappresenterà una delle pietre miliari nella storia del cinema italiano, un punto di riferimento per le future generazioni, un video-racconto dedicato a quel microcosmo sospeso tra la natura e una civiltà contadina ormai scomparsa, una testimonianza autentica di una quotidianità legata alle quattro stagioni e fatta di suoni, silenzi, riti, leggende, religiosità, abitudini, tradizioni e soprattutto di valori.
Non manca mai occasione, ogni qual volta mi capita di descrivere le nostre tradizioni contadine, di citare o portare ad esempio questo film. Anche “Lungo il fiume”, altro suo film-documentario dove racconta un viaggio dalle sorgenti alla foce del fiume Po, è un’altra importante testimonianza di quelle consuetudini che ormai sopravvivono solo nella memoria dei nostri nonni o proprio attraverso i sentimenti autentici e le emozioni poetiche del “Maestro” Ermanno Olmi... anche se non voleva essere chiamato così.
Roberto S.
07/05/2018Uno spaccato di vita dei primi anni del secolo scorso che fa pensare a come sono cambiate le cose in un tempo relativamente breve sia in meglio che in peggio.
Anche io ho ancora la videocassetta del film e ogni tanto lo riguardo in dialetto perché nella versione in italiano non č la stessa cosa. Vedi siamo giā antichi noi che parliamo di videocassette, chissā come parleranno dei nostri tempi tra 100 anni.......