Mauritius - II
Febbraio 2004
La 'mia' casa è bianca, singola e piacevole. Sono al primo piano. Nel giardino di fronte, tra il verde dell'erbetta, si levano alcune piante di banano, mango e palma. Da quì potrebbe essere confuso con il frastuono di un aspirapolvere acceso, con quello di un'autostrada trafficata o con un boeing che ti gira sopra la testa, nulla di tutto questo: è il rumore del mare. Da qui si sente, chiaramente. Anche il profumo. Di giorno e di notte. Un ciclone, se pur di debole intensità, ha preceduto il mio arrivo guastando il tempo: brevi e ripetuti scrosci di pioggia, umidità altissima nell'aria e ovviamente mare mosso sono all'ordine del giorno, almeno per ora, spero che il clima si ristabilisca presto. Quest'anno sono un pò più a sud, a Flic en Flac e non più al nord, a True of Biscex. Entrambi rassomigliano a nomi di favole. L'anno scorso ne ho avuto proprio la parvenza, spero accada di nuovo.
Sono seduto vicino alla finestra, aperta sull'oceano. Osservo una barca davanti alla baia arenata sul bagnasciuga. A poppa c'è anche il nome 'Le Titan', mi sento di dire che l'appellativo non è dei più appropriati, vista la fine che ha fatto. Penzola su un lato, come ubriaca, ridotta così da una mareggiata notturna. Vederla sulla sabbia, anzichè in acqua, è uno spettacolo che ruba lo sguardo; uno stupore infantile. Tutto il mondo è paese: decine di persone l'attorniano, ormai da giorni; ognuno dice la sua, ognuno sa come riportarla in mare, ma il risultato è ancora lì, davanti a tutti, la barra del timone è ancora ben piantata nella sabbia. Non vedo miglioramenti. Anche oggi si fa tardi. Il sole è ancora alto, ma è soltanto un'illusione di pochi istanti: tra poco sfiorerà l'acqua e poi, sprofonderà laggiù, in quell'oceano complice. Alcune voci già dicono: 'a domain.'.
Il sole è di nuovo alto, questa volta resisterà più a lungo nel cielo azzurro, oggi è sgombro da quelle nuvole bianche che sempre lo accompagnano. Un gruppo di tre alte palme trasmette ombra a terra, quella scura rappresentazione di foglie longilinee, che contrasta con il bianco della sabbia, rende piacevole quello spazio rivolto ad una sosta. Mi fermo. Il mare è ancora agitato, la barriera corallina laggiù in fondo, è presa continuamente a schiaffi da energiche onde, il rumore è continuo, a riva, fortunatamente, arrivano solo quelle calme. Non per questo, quando l'acqua si ritira, rimangono sulla sua scia frammenti multiformi di corallo e disparate conchiglie, alcune di loro finiranno nel mio zainetto, sono splendide, sarebbe un peccato restituirle all'oceano; tra non molto finiranno dentro a un vaso, richiameranno alla memoria quel luogo fatto di ombre, onde e sabbia.
Vederle sul tavolino del soggiorno mi hanno stimolato a raccoglierne altre. Di conchiglie, con questo mare agitato, non c'è altra abbondanza. Non tutte, sto dando la preferenza a quelle più belle. Scelgo quelle piccole, quelle che la gran parte di persone non raccolgono, troppo anonime, prediligono quelle grosse da mettere poi in 'bella mostra' sul tavolo dell'ufficio. Anche le grandi sono colorate e hanno mille forme, ma quelle minuscole sono di un altro fascino. Basta metterle nel palmo della mano per accorgersene. Pretendono molti sguardi. Sono fatte di deboli sfumature di colore; di contrastanti gradazioni tra il bianco e il nero; di piccole linee, curve e spirali che congiungono poi tutte allo stesso punto. Di queste, una per ogni giorno, è la prescelta.
Il luce del tramonto si abbassa all'improvviso, non ti da nemmeno il tempo di ammirarla un pò più del dovuto. Si alza il vento, la bandiera a strisce inizia a sventolare e un foglio di giornale a volteggiare come un fantasma. Due donne camminano lente sulla sabbia, sono a piedi nudi, hanno l'aspetto di madre e figlia. Sia una che l'altra mostrano una certa età. La più giovane passeggia con in mano un frammento di corallo, la forma e i ricami ricordano un ventaglio cinese; la seconda tiene una borsetta di vimini intrecciato alla congiunzione del braccio. La loro sari, lunga fino ai piedi, è bagnata fin oltre le ginocchia, una è coloratissima, azzurro con fiori blu e una fascia di stoffa gialla la sorregge; l'altra è più sobria, s'addice all'età avanzata, beige a righe marroni. Parlano, ogni tanto si guardano e poi sorridono. Ho l'impressione che la spiaggia non sembri abbastanza lunga per dare ascolto alle loro parole. Poco dopo le vedo scomparire dietro a un'ansa e con loro gli ormai deboli raggi del sole. Davanti a me rimangono un paio di barche che si fanno cullare dal mare. Basta così poco a diffondere felicità.
Laggiù il cielo si è fatto scuro: l'azzurro si fa indaco per poi diventare plumbeo. Il sole stenta a bucare quello spesso strato di nuvole. Il paesaggio si trasforma come d''incanto: il verde acceso e lucido della palme contrasta meravigliosamente su quello sfondo violaceo; il mare prende su di sè i colori del cielo e si trasforma in un oceano dalle mille gradazioni. Un forte fascio di luce riesce a sfuggire tracciando un'ampia linea verde, laggiù in fondo, oltre la barriera corallina, dividendo in due il mare: turchese e blu d'oltremare. Sulla spiaggia è ormai un 'fuggi fuggi', molti prendono posto nella vicina pineta di Casuarine, altri salgono in macchina e se ne vanno, i pochi rimasti si fermano impassibili in attesa degli eventi. Non tardano a manifestarsi, quell'immensa e minacciosa coltre nuvolosa sembra spostarsi verso est, solo alcune gocce arrivano fino a noi, portate da un fiacco soffio di vento, nulla di più. Ai tropici, un temporale non è mai ciò che si crede.
Il sole è caldo. L'asfalto bagnato asciuga velocemente un breve acquazzone. Una decina di ragazzi si alzano da sotto un albero e ritornano sulla strada. Tengono in mano barattoli, grossi pennelli e un rotolo di corda. Hanno l'aspetto e un portamento insolito, come se si dirigessero a colorare chissà cosa, magari un palazzo di cento piani... Passano alcuni istanti e capisco: devono 'pitturare' la strada. Un paio di loro stendono il filo cercando di tenerlo retto; un altro lo segue con il pennellone ed inizia a tracciare la riga bianca di mezzeria e un altro è sul bordo a fare quella laterale; i rimanenti tre colorano il guardrail di fianco, uno fa la striscia gialla, l'altro quella bianca e quell'altro la nera. E' stata una visione compiacente, diversa dal solito. Eh scusa. mi stavo dimenticando quegl'altri due laggiù... quelli a 'cavallo della zebra'.
“Anche questa sera la Luna è sorta, di un colore troppo rosso e vago, Vespero non si vede, si è offuscato, la punta dello stilo si è spezzata, che oroscopo puoi trarre questa sera mago?'. Ogni volta che alzo gli occhi al cielo per guardare la Luna canticchio questa vecchia canzone di Guccini. E' anche qui, bella più che mai, però mi trova un pò spiazzato, c'è qualcosa fuori posto. Ancora una volta sono stato sopraffatto: tutto è capovolto. Sembra un cielo in disordine. Non trovo nemmeno più quelle stelle che solitamente sono a portata di mano. Mi verrebbe di strapparle dal cielo ad una ad una e con una mappa astronomica riposizionarle tutte. Sarebbe davvero un gran bel passatempo. Poi penso che dovrò partire e che poi tutto sarebbe da rifare. Lascio perdere, penso che al mio arrivo non sarebbe più un'occupazione divertente. Se pur sparpagliate le guardo splendere, alla stessa maniera di sempre. Come dicevo c'è anche lei, la Luna, che, a differenza delle stelle, si mostra al suo posto, è sempre là, immutata, come una pallina di gelato alla vaniglia che galleggia in un mare di caffè nero bollente.
Non si può non parlare del tramonto, del momento più bello della giornata. Il caldo cede il posto alla frescura; la luce accecante si arrende al crepuscolo; il soffio del vento s'infiacchisce e così le onde del mare; le nuvole bianche si trasformano come d'incanto in mille colori: 'arancio, viola, giallo', insomma tutto si trasforma e la calma la fa da padrona. Questa sera avrei desiderato essere un pittore, poi l'idea si è subito dissipata. Come potrebbe un daltonico come me formare tutti quei colori sulla tavolozza e tradurli su una tela bianca? Allora mi sono limitato a rivolgere lo sguardo alle nuvole all'orizzonte, quelle che accompagnano il sole dall'altra parte del mare. Avevano forme stravaganti, lavorando di fantasia si potevano intravedere un'infinità di configurazioni: in primo piano dominava la scena un viso diabolico con tanto di baffi e pizzetto; sotto di lui spiccava un fungo con l'erbetta tutta intorno; ai due lati il profilo ineguagliabile delle rocce scolpite del Gran Canyon... "non ho le ali"... 'click', è tutto quello che ho potuto fare.
E' stata una bella decisione. L'anno scorso non mi ero mai preso il tempo di andarci, pur abitandoci a soli a cinque km, ma questa mattina, se pur distante una sessantina di km, sono partito con determinazione: "vado a visitare il giardino botanico di Pomplemousse". Ora lo posso dire: 'è straordinario'. già l'ingresso, una cancellata importante in ferro d'epoca, ti trasmette la sensazione che si sta entrando in un luogo fuori dal comune. Basta avanzare di qualche passo lungo il viale centrale, fatto di una doppia fila di altissime palme, per rendersi subito conto dell'esattezza della premonizione.
A qualche metro c'era una strada trafficata, lì regnava già la pace, una 'colonna sonora' fatta da un insieme di cinguettii da il benvenuto e ti accompagna per tutto il parco. Ogni viale è distinto da diverse specie di palme, nelle aiuole ai lati vi sono alberi tropicali provenienti da tutto il mondo, ve ne sono di piccoli, grandi, enormi; stretti, larghi, amplissimi; manghi, ficus, mandorli, baobab, tamarindi, piante del cacao. I viali portano poi tutti indistintamente a un fabbricato centrale. Appare dal nulla, all'improvviso, sembra appena uscito da una favola, bianco e con un doppio giro di balconi perimetrali, in perfetto stile coloniale inglese di fine ottocento.
Un tempo era la residenza del fondatore del giardino, un certo Lord Hennesy. Se l'avessi incontrato avrei voluto fargli una domanda 'Caro Lord, ma cosa vuole di più dalla vita?'. Poi vi sono gli stagni, un vero incanto, ci sono quelli dedicati ai gigli d'acqua che hanno le foglie rotonde che assomigliano a dei gran padelloni; ai fiori di Loto; alle ninfee; per proseguire verso una serra umida e 'incantata' dedicata alle felci; al chiostro con le tartarughe giganti; agli spazi dedicati al bambù, alle piante officinali e ai fiori d'ornamento; in quel luogo la bellezza e la raffinatezza di una rosa gialla svanisce nel nulla. Esco. Aldilà della strada c'è una pasticceria austriaca 'Wiener Cafe'. Strano a crederci ma è così, non è stato un miraggio dovuto al caldo. lì infatti mi sono mangiato un'ottima Sacher e un eccellente pan di spagna al caffè. La cancellata dei giardini era alle mie spalle, non ho potuto evitare di girarmi per dare un'ultima occhiata a quel magico luogo.
Oggi è l'ultimo giorno. Domani partirò. Il tempo è sfuggito via, delicatamente come il volo di una farfalla, ma è pur sempre volato. Stavo quasi per dimenticarmi di parlare di alcune amiche locali. Mi hanno tenuto compagnia per l'intero periodo, mi erano davvero affezionate, mi seguivano ovunque, senza lamentarsi tanto: in spiaggia, sotto alla doccia, in soggiorno mentre mangiavo, una mi aspettava sempre anche a letto, quando mi coricavo la trovavo già là, appoggiata alla zanzariera. Aldilà di questa perseveranza a non mollarmi mai, le detestavo con tutto me stesso, mi sono reso conto che il loro unico scopo di sopravvivenza sulla Terra è quello di farmi dire: "Che bello sarebbe il mondo senza le zanzare".