Parma

Parma: 9 febbraio 2015


Ho trovato una città che non è più la stessa. No, non mi riferisco all'ultima eccezionale nevicata. Il raffronto è con gli anni ’90, quando la frequentavo quotidianamente. Sono passati vent’anni è vero, ma la differenza è notevole.

Martedì, avendo un paio d’ore da consumare insieme alle suole, ho voluto godermi Parma come da tempo non accadeva: passeggiando nei borghetti, sbirciando gli androni, osservando le vetrine, entrando nelle chiese... per tutto il tempo non ho fatto altro che guardarmi intorno.
Qualche tempo fa, se avessi dovuto descrivere Parma, avrei usato altre parole, certamente più nobili, magari legate all’eredità culturale lasciata da Maria Luigia, ora è diverso, posso farlo attraverso la realtà. Il centro storico l’ho trovato diverso, profondamente mutato, un po’ come se quel fascino di città Ducale si fosse squagliato come neve al sole. Il motivo è senz’altro lo specchio dei tempi: dover abbandonare la provincialità per far posto alla multiculturalità e alle occorrenze di un’immigrazione fuori controllo.

Una metamorfosi cittadina sotto gli occhi di tutti, nelle vie del centro basta ascoltare chi ti passa accanto per accorgersi che la “R” non è più testimone delle nobili origini, le donne eleganti e ingioiellate sono rare come le gemme di quel tempo, si distingue solo qualche elegante avvocato con i gemelli al polso e il cappello tirolese.
Basta girare un po’ a piedi per accorgersi che gli angoli e i portici sono ridotti a latrine a cielo aperto, i gradini delle case sono occupati da visi stranieri con la birra in mano, mentre tutt’intorno c’è un andirivieni di lampeggianti blu e occhiate guardinghe.

Veramente poche le tracce di “parmigianità” sopravvissute: la gran parte delle vecchie botteghe alimentari, i prestigiosi negozi di abbigliamento e di antiquariato non esistono quasi più, soppiantati da pizza al taglio, kebab, money-transfer, abbigliamento da quattro soldi o da serrande abbassate con il cartello “Affittasi”. Solo attraversando il ponte, per giungere nell’Oltretorrente, proprio quello che racchiude tutto l’orgoglio cittadino, mi sollevo un po’ il morale scorgendo una frase sul lungo Parma, sopravvissuta alle svariate “alluvioni” e sintomatica dei “Pramzàn”: “Berna t'è pasè al Ter mo miga la Parma”.

Nessun “indice puntato” alla politica locale, anzi al nuovo Sindaco va tutta la mia solidarietà, ereditare una città anestetizzata dall’happy hour, vissuta al disopra delle proprie possibilità e stordita da truffe, complicità e corruzione (700 milioni i debiti nascosti nei bilanci comunali), è stato solo un onere.