Vajont
Novembre 2008 - Longarone, Erto Casso, Belluno, Valdobbiadene, Cortina, Treviso.
Era da tempo che desideravo visitare i luoghi di quella che è stata una tra le più grandi assurdità italiane, la tragedia del Vajont. Andare lassù, sul confine tra Veneto e Friuli, la sentivo come una sorta di richiamo, me lo ero promesso dopo aver visto lo spettacolo di Marco Paolini in TV, una decina d'anni fa. No, non è stata una macabra gita, ma una volontà precisa per conoscere da vicino quei paesi, considerare l'ingegno di un'opera avveniristica, capire l'assurdità di certe scelte, la sfida alla natura, la presunzione dell'uomo. Rievocare la notte del 9 Ottobre 1963 quando dal Monte Toc franarono *duecentosettantamilioni di metri cubi di terra e rocce, una vera e propria montagna, dentro al bacino artificiale creato dalla diga alzata sul torrente Vajont (quella che era ed è un vero capolavoro d'ingegneria). L'onda investì prima i paesi a monte di Erto Casso, poi scavalcando la diga arrivò, anzi spazzò via il paese adagiato a valle, Longarone, provocando in pochi minuti la morte di quasi 2000 persone. No, non è stata una catastrofe naturale, ma un disastro annunciato, dettato esclusivamente dall'arroganza degli uomini. Non ci volevano ingegneri o geologi per capire la gravità del momento, la frana si muoveva a vista d'occhio e il paese di Longorane a valle era del tutto ignaro di quanto stava accadendo a monte. Bastava affacciarsi dall'anello della diga per capire a quale pericolo era esposto, invece nulla, hanno scelto di sfidare la sorte, l'irresponsabilità, ma a quale prezzo? La scelta sciagurata di quei giorni è ora sotto gli occhi di tutti, in quello che sembra un cimitero di guerra, in puro stile americano, fatto da 1917 candidi cubetti di marmo e suddivisi da vialetti d'erba inglese, dove domina la frase: "prima il fragore dell'onda, poi il silenzio della morte, mai l'oblio della memoria".
* Per trasportare via dal bacino l'intera frana sarebbero necessari 100 camion, che lavorassero 8 ore al giorno, per 700 anni.