Un brav'uomo è difficile da trovare

Un ricordo del bedoniese Mauro Mallero, che ha basato la sua vita sull'aiuto del prossimo
L’ho visto l’ultima volta, come capitava spesso, al Bar Italo per la colazione. Sempre i soliti: io, lui e Stefano. Lunedì era il turno di Mauro, così ho pagato in anticipo quella del giorno dopo, perché non sarei stato presente. Martedì, alle sette, mi telefona Gerardo e la giornata sterza improvvisamente. Quella mattina, di lì a poco, non avrei ascoltato i suoi racconti legati al monte Penna e a De Thierry, né di cavi e pulegge o di binari e teleferiche.

È tutto così difficile da immaginare, da digerire e farsi una ragione su ciò che può accadere in meno di 24 ore. Nessuno di noi sa quando è l’ultima volta. Se la conoscessimo, sapremmo il nostro destino e quello degli altri; e forse aggiungeremmo qualcosa in più: un sorriso, uno sguardo compiaciuto o semplicemente una frase “Mauro, sei un brav'uomo, una persona che stimo”. Forse adesso saremmo entrambi più contenti. Ma la vita è così: non ti manda ai tempi supplementari, nemmeno per cinque secondi, per dire una manciata di parole.

Mauro era un raro esempio di persona che ha fatto della sua vita una missione, donando il proprio tempo o, meglio, anima e corpo al prossimo. Se a Bedonia si dice “Croce Rossa”, il primo pensiero va immediatamente a lui. Avendolo conosciuto, però, non sarebbe contento di questa mia ultima espressione, soprattutto per il rispetto verso tutti i volontari. Ne ho avuto la riprova durante la stesura del libro Il Tempo siamo noi, pubblicato nel 2023 per celebrare i 50 anni di fondazione della locale Croce Rossa, poiché Mauro fu coinvolto personalmente nel raccontarmi quella lunga storia, spesso con le lacrime agli occhi, passo dopo passo, ambulanza dopo ambulanza, mattone dopo mattone, di quella che considerava la sua “seconda casa”. Ricordo che il ritornello era sempre lo stesso: “Però non scrivere ancora il mio nome”. Non si fidava: “Ho chiesto alla Susy di contare le volte che lo hai scritto… troppe, troppe, cancella! Metti una volta in più quello di Don Costa”.
 
Il suo percorso nel volontariato iniziò nel 1973, quando decise di iscriversi alla neonata Croce Rossa. Nel 1987 ricoprì il ruolo di Ispettore dei Volontari -pur sottolineando sempre, nel suo racconto, che: “In quel periodo non c’erano cariche, si lavorava e basta”. Dopo vent’anni di guardie mediche e turni, nel 1993 entrò a far parte del direttivo, e nel 1999 venne eletto Presidente della Delegazione, carica che mantenne fino al 2016; da allora, però, non c’è mai stato un giorno in cui l’abbia abbandonata, né fisicamente né moralmente.
 
Questo pomeriggio lo hanno ribadito, con “parole vere e non di circostanza”, anche il Sindaco di Bedonia e Gerardo, l’attuale Presidente della CRI, durante l’emozionante orazione funebre: “Sei andato, sei dovuto andare. Resta davvero un silenzio assordante e il vuoto che si crea attorno. Ci lasci però le tue piccole grandi manie, che altro non sono che l'amore per la tua Croce Rossa: «Ci sono le luci accese, c'è da chiudere il garage, un mezzo è rimasto fuori, c'è da archiviare questo articolo della Gazzetta, c'è da ringraziare questo e quello, abbiamo risposto subito, vero?». Ci hai insegnato che l'unica vera ragione di vita, per una vita davvero vissuta, per una vita vissuta bene, è Aiutare, con qualunque divisa, non importa il colore, ma farlo. Perché è meglio fare che non fare, tentare che rinunciare. Ci resta così la consapevolezza che sarai sempre con noi, oltre alla fortuna di aver conosciuto una persona speciale e che ci ha insegnato cos'è l'altruismo. Che bisogna aiutarsi, sempre e comunque. Una soluzione la si trova sempre, anche se si deve smuovere un monte intero”.
 
Praticamente lui e la Croce Rossa hanno camminato insieme per tutti questi anni. Ora possiamo dirlo: fino all’ultimo respiro, fino a quando i “suoi” ragazzi dell'ambulanza gli piombano in casa e tentano anche l’impossibile.


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