La salita del Cristo ci porta lontano nel tempo, ognuno di noi ha dei bellissimi ricordi, se decidete di ristrutturarlo, fammi sapere. Grazie Gigi
Quanti bei ricordi di quando da bambino andavo insieme ai miei coetanei a giocare ai cow-boys nel "magico" avvallamento di Terrrossa, passando prima per il Cristo. Salivamo prima per un ripido e breve viottolo vicino all'orto dei Carpani. Interessante la storia del Cristo e delle relative donazioni per costruirlo.
Peppino Serpagli
Mi è capitato più di una volta di passare di lì nei miei viaggi e mi sono sempre chiesto il perché di un’opera così in un luogo non pratico per visitarlo. Adesso finalmente ho una risposta al mio “perché”. I cittadini di Bedonia possono essere fieri dei loro antenati che hanno ricevuto in eredità un simile “protettore”. Quando avrò l’occasione di ripassare di lì mi riprometto di trovare un parcheggio e visitarlo da vicino.
Da piccolo, ma anche quando ero più giovane, coltivavo una evidente attrazione verso tutto ciò che era sacro, forse per la frequentazione scolastica del nostro seminario. Mamma mi portava sempre con lei a San Marco alla messa pomeridiana della domenica e una volta per l’intero mese di maggio presso questo luogo lecitamente soprannominato ‘Cristo’; calde e profumate serate che custodisco ancora nel profondo per la loro unicità adolescenziale. Ricordo ancora molto bene quando un giorno, immagino in prima Ginnasio, disegnai la figura di un Cristo dolente sulla croce e la scenografia circostante raffigurava esattamente il luogo di questa storia che non conoscevo. Se mai dovessi trovare quel foglio lo manderò.
Purtroppo, dal controllo effettuato nel magazzino della canonica, la corona metallica di rose non risulta. Ma c’è anche una notizia positiva: avendo ritrovato i relativi documenti in archivio parrocchiale, posso ora narrare in dettaglio la storia del nostro bel Crocefisso.
La nota missione fu tenuta a Bedonia dal 16 al 27 febbraio 1938, dai preti dell’Istituto Imperiali: congregazione che, fondata a Roma nel 1764 dal nobile abate genovese Francesco Imperiali per incrementare le missioni popolari nello Stato Pontificio, operava in particolare appunto nel Centro Italia.
Cosa dunque li portò a Bedonia? E’ presto detto: il piacentino Mario Nasalli Rocca (1903-1988), giovane monsignore di Curia a Roma, era un attivo membro e animatore appunto di quell’Istituto e insieme una conoscenza del nostro arciprete Checchi, che lo contattò nel dicembre 1937. Nasalli lo ringraziò per il “magnifico pacco di funghi e di salumi” ricevuto, organizzando la venuta dei predicatori per il febbraio successivo.
Mons. Nasalli Rocca non poté poi partecipare di persona alla missione bedoniese, in quanto impegnato nell’assistere una zia morente; ma tutto si svolse, per ben 12 giorni e con tre missionari, con la dovuta solennità e un’organizzazione esemplare. Ogni giorno, i fedeli avevano la possibilità di partecipare a vari momenti di vita e formazione spirituale: la Messa delle 5.30, la istruzione a dialogo delle 6, la Messa parrocchiale delle 9, la conferenza spirituale delle 9.30, il Rosario delle 17, la predica di riforma delle 17.15, la predica di meditazione delle 18 e, infine, la benedizione delle 18.45. Nei vari giorni, furono inoltre proposte prediche destinate alle varie categorie: fanciulli e fanciulle; giovanetti; giovani donne (dai 14 ai 30 anni); uomini e giovanotti; madri e spose. Il tutto, accompagnato anche da cerimonie e momenti particolari, ossia: benedizione dei bambini, Comunione degli infermi, giornata eucaristica, pellegrinaggio al cimitero, Comunione della gioventù, ritiro spirituale per il clero. Chiuse la missione una solenne veglia eucaristica nella notte tra sabato 26 e domenica 27 febbraio: e varrà la pena di notare che si era proprio nel fine settimana di Carnevale…
Nonostante il programma impegnativo, la risposta popolare fu adeguata, tant’è che il missionario don Scavizzi, un mese dopo, scrisse entusiasta a mons. Checchi che “il rapido e incessante succedersi delle missioni non può e non potrà affievolire il ricordo di Bedonia!” Con le offerte raccolte dai Bedoniesi nel fervore di quei giorni (vedi elenchi qui riprodotti) era stato contattato, per forgiare la statua del Crocefisso, un artista operante a Roma e ben conosciuto dai missionari dell’Istituto Imperiali: il siciliano Giuseppe Pirrone (1898-1978), allora quarantenne e in piena formazione di un proprio stile artistico.
E’ significativo dello zelo instancabile di questi missionari che, per Bedonia, essi ordinassero al Pirrone un crocefisso simile ad un suo altro, che era stato appena inaugurato nella missione di Anagni (Frosinone); e che, dopo che lo scultore comunicò al nostro Arciprete di aver ultimato il corpo (vedi foto -era il 24 aprile), gli stessi predicatori “dirottassero” a metà maggio l’opera appena finita verso Spoleto (Perugia), dove avrebbe potuto giungere in tempo per inaugurarsi alla fine della missione colà predicata.
Nel frattempo, comunque, il bravo artista si era già rimesso al lavoro per preparare un nuovo Cristo per Bedonia: nella lettera del missionario, si parla dell’inizio di luglio come eventuale data d’inaugurazione: è quindi ben possibile che questo sia avvenuto nelle festività per la Madonna di San Marco, anche se (almeno per ora) non si sono trovati altri documenti che lo confermino.
Quanto al dato artistico, si deve notare la bellezza espressiva che l’autore riuscì a trasmettere nel volto e nelle forme del Crocefisso. La cosa è tanto più notevole, in quanto nell’opera bedoniese già si colgono quelle capacità che, di lì a poco, resero Pirrone un artista affermato.
A partire dallo stesso 1938 e per tutti gli anni Quaranta si ebbe, infatti, una sua fortunata produzione di ritratti scultorei di vari personaggi. Questo il giudizio che si legge nell’Enciclopedia Treccani: “Fedele al rigore stilistico di ascendenza rinascimentale, in queste opere coniugò compostezza formale e vigore plastico, riuscendo a conferire una certa vitalità ai soggetti, che ritrasse con particolare acutezza d’indagine e una marcata quanto precisa registrazione delle fisionomie.”
E lo stesso tipo di classicismo e di abilità osservativa si ritrovano, poi, nel bellissimo Crocefisso fatto per la collegiata di S. Giovanni a Macerata (1950: vedi foto), come pure nella particolare forma artistica che Pirrone praticò dagli anni Cinquanta, e che lo rese celebre: quella di scultore di medaglie.
Proprio per quest’ultima attività, esercitata in buona parte al servizio del Vaticano, l’artista siciliano fu premiato da Paolo VI, nel 1976, con un’alta onorificenza papale, l’ordine di San Gregorio Magno. Ed è bello sapere che lo stesso papa Montini onorò anche l’altro personaggio importante nella storia del nostro Cristo, creando cardinale, nel 1969, il benemerito mons. Nasalli Rocca.
Non posso terminare questa narrazione che augurando a tutti una lieta e santa Pasqua del Risorto!
Paolo
09/03/2022Bravo Gigi. Tempo fa noi alpini ci avevamo fatto un pensiero per dargli una rinfrescata, ma poi ci siamo arenati e non abbiamo più portato avanti il progetto... magari in futuro se qualcuno vuole prendersi a cuore questo restauro noi daremo una mano sicuramente.