Tornare a vedere un film al Cinema Cristallo, dopo tanti mesi, è stata una situazione un po’ anomala (posti assegnati e mascherina), ma bella. C’era anche gente in sala. L’occasione è stata quella di “Volevo nascondermi”, con uno straordinario Elio Germano nei panni di “Toni” Ligabue.
Una storia che è al tempo stesso un inno al fiume Po, alla sua gente e ai paesaggi di quell’Emilia rurale, già ben raccontata da Ermanno Olmi, Pupi Avati, Bernardo Bertolucci, Carlo Mazzacurati, Giovannino Guareschi, Mario Soldati e Cesare Zavattini... per me un omaggio ad ognuno di loro.
Inevitabile ripescare nella memoria anche la versione televisiva di Salvatore Nocita, lo sceneggiato, allora si chiamava così, che andò in onda nel 1978 sulla Rai, con l’altrettanto bravo Flavio Bucci che nulla aveva da invidiare all’attuale interpretazione di Germano. Senza dubbi un’occasione per far conoscere la travagliata vita del pittore e scultore svizzero-italiano, allora semisconosciuta.
Anche questa versione di Giorgio Diritti è stata adeguatamente narrata, con una sceneggiatura che ben rappresenta i dintorni di Gualtieri, il luogo dove il pittore trovò riparo dal mondo "normale": colorati filari di pioppi, sentieri sviluppati lungo le sponde del “Grande fiume” e l’accento dialettale, tutto ben mescolato alle consuetudini della "Bassa" e modellate attorno a ricette, osterie e nebbie.
Di Antonio Ligabue, artista “dentro” e non fasullo, che è sopravvissuto alla solitudine, al freddo e alla fame, oltre a mille angherie, mi sono portato a casa un sorriso, una sua simpatica frase che bene sintetizza la sua esistenza e poi il suo riconoscimento artistico... il momento è quello dei soldi in tasca, guadagnati grazie ai quadri, quando si compera un bel cappotto nuovo, da indossare subito, nella canicola di luglio: "Sì perché ho sofferto tanto freddo nella mia vita che il caldo non so neanche cosa sia", che detta nel suo dialetto, si trasforma in una spontanea poesia.
Archaeopteryx
23/09/2020«Il rimpianto del suo spirito, che tanto seppe creare attraverso la solitudine e il dolore, è rimasto in quelli che compresero come sino all'ultimo giorno della sua vita egli desiderasse soltanto libertà e amore»
(Epitaffio sulla tomba di Antonio Ligabue a Gualtieri)
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