58 - 06 Maggio 2018
Un sogno chiamato Bugatti
Cos'è rimasto della leggendaria fabbrica automobilistica Bugatti di Campogalliano?
I mesi sul calendario sono fermi a settembre, mentre l’anno è quello del 1995. Qui a Campogalliano è come se si fosse fermato il tempo. Con lui un sogno italiano, durato poco, solamente cinque anni. L’idea era quella di costruire una macchina dal niente e che potesse rientrare nella storia automobilistica mondiale, il sogno aveva un nome e si chiamava Bugatti.
La terra poteva anche essere quella giusta, nella Motor Valley emiliana sono presenti i più grandi costruttori di automobili sportive, dalla Ferrari alla Lamborghini, passando per la Maserati.
Era il 1988 quando qui a Campogalliano, Romano Artioli, con altri imprenditori coraggiosi, investì oltre 100 miliardi di Lire per rilanciare il leggendario marchio e riportarlo ai fasti dei primi anni del '900. In quel periodo e fino agli anni ’60, la casa francese, creata dall’italiano Ettore Bugatti, produceva automobili sportive e di lusso tecnicamente avanzate per quei tempi. Dopodiché l’oblio.
Dopo l’acquisizione del marchio viene così costruito il nuovo stabilimento tecnologicamente all’avanguardia: “La Fabbrica Blu”. Una serie di fabbricati che ancora oggi catturano l’attenzione, percorrendo l’autostrada del Brennero, per le loro “Forme morbide e perfette che ricordano quelle di una donna leggiadra” o come dicevano allora “Roba da extraterrestri”. I capannoni e gli uffici erano quanto di più lontano dal grigiore delle fabbriche, delle catene di montaggio, nulla fu lasciato al caso: illuminazione naturale, riscaldamento a ricircolo, musica in filo-diffusione, alta vivibilità a beneficio del benessere degli ambienti. Incredibilmente belli e degni di nota sono i due saloni rotondi della palazzina uffici: il soffitto richiama il cerchione a raggi della Type 59 e il pavimento la strada. Il progetto era dell’architetto Giampaolo Benedini.
In quei cinque avventurosi anni venne alla luce un solo modello di automobile, la mitica “EB 110”, un esemplare super accessoriato che poteva costare fino a un miliardo di Lire. È ancora vivo il ricordo di quando Schumacher andò lì a ritirare la fuoriserie che aveva acquistato e tutti i dipendenti andarono a stringergli la mano. Ne furono prodotti 150 esemplari e fu l'auto più costosa di quel periodo, ma nonostante l’esclusività non incontrò il successo sperato. Le malelingue dicono che dietro al fallimento ci fu un vero e proprio complotto delle case costruttrici concorrenti.
Sulla parete della palazzina “Blu Bugatti”, immersa nel verde del parco, si distingue ancora oggi il segno del marchio, strappato via dopo il fallimento del settembre ’95. Da allora lo stabilimento è chiuso, in balia del tempo, anche se a mettere un freno a tutto ciò ci pensa la caparbia smisurata di Ezio Pavesi, ex dipendente che da oltre vent’anni è il custode morale di questo celebre spazio, anzi di quei settantamila metri quadrati zeppi di ricordi. Tiene in ordine il posto, accoglie visitatori da tutto il mondo, un modo per tener vivo un sogno: “È il mio debito di riconoscenza per quello che ho vissuto, lo faccio gratuitamente, mi viene del tutto naturale. Lo faccio perché qui dentro, insieme a tutti i miei colleghi, ci siamo sempre sentiti trattati da persone; se eri bravo venivi premiato, se c’era un nuovo progetto venivi coinvolto, anche uno come me che non è certo un ingegnere. Io resto qui, lo devo a chi ha messo in piedi questo sogno”.
Ezio lo fa proprio per riconoscenza, basta ascoltarlo per capire che non mente, che è una persona autentica, ed è in nome di questa sua passione che falcia l’erba, scopa i pavimenti o svuota i bidoni pieni d’acqua piovana per le infiltrazioni del tetto. Almeno una volta al giorno, insieme al figlio, fa il giro della “sua” ex fabbrica per assicurarsi che non vi siano malintenzionati. In pratica si prende cura di quel che resta di un pezzo di storia moderna, un capolavoro d’ingegno e spirito d’avventura, della meccanica e del design, tutte qualità che hanno sempre contraddistinto l’Italia dal resto del mondo.
Enzo è anche disponibile per una visita guidata, basta chiamarlo al cellulare (338.931.3173 ) e mettersi d’accordo: “Vi porterò a visitare questo tempio orfano dei suoi operai, degli impiegati, del suono dei macchinari e delle EB110 che da qui uscivano a ritmo costante. Fino a quando gli ordini non iniziarono a rallentare, i soldi finirono e le porte si chiusero”.
Mura
07/05/2018Un'automobile posseduta fin da bambino ( modellino 😡 )