Quel piccolo mondo antico della scuola
Una testimonianza che ci racconta com'era la scuola di un tempo, ma anche di aule, maestre e alunni
Partiamo dalla nomina ad “insegnante”, un ruolo che veniva comunque accettato, sia nel bene che nel male, anche perché in caso contrario le maestre venivano escluse dalla graduatoria. L’anno scolastico iniziava il 1° ottobre su tutto il territorio nazionale, e gli edifici scolastici erano presenti ovunque, dal capoluogo a quasi tutte le frazioni. In queste ultime vi era la pluriclasse (dalla prima alla quinta elementare) o al massimo due classi (primo e secondo ciclo), mediamente con dodici alunni per ognuna: "Dovevamo fare i salti mortali per sviluppare e arricchire l’elementare bagaglio culturale ad ogni bambino, oltre che per tenerli tutti impegnati."
Per raggiungere le varie sedi si dovevano sempre percorrere strade non asfaltate o addirittura mulattiere, per cui l'unico mezzo era il pedibus calcantibus, ovvero con le proprie gambe; oppure a dorso di mulo, se qualche buon’anima offriva loro un passaggio, particolarmente gradito durante le abbondanti nevicate.
Le maestre di Bedonia rientravano a casa al sabato pomeriggio, mentre chi proveniva da Parma o dalla Bassa rientrava alla propria residenza in occasione delle vacanze estive, natalizie e pasquali, oppure per qualche ricorrenza se prevedeva qualche giorno di festa con possibile "ponte".
La scuola era solitamente posta in un edificio dal carattere un po’ precario: il riscaldamento era per mezzo della stufa a legna; non c’era acqua corrente, ma una brocca per dissertarsi; una lampadina di pochi watt illuminava la stanza nelle giornate invernali; infine, il servizio igienico era all’esterno, quasi sempre nel prato retrostante, ed era formato da un fabbricatello in legno con la turca al centro e un chiodo sul lato con infilati i pezzetti di giornale.
L'alloggio dell’insegnate poteva essere all’interno dell’edificio scolastico oppure presso un’abitazione privata: in entrambi i casi era formato da una stanza o al massimo due. Lì trovavano posto la stufa a legna per cucinare e scaldarsi, il lavello in pietra arenaria o graniglia di marmo con alla base il secchio dell’acqua (anche in questo caso non c’era acqua corrente), un tavolo con due sedie impagliate da un lato e dall’altro una panca. Poi c’era il necessario per la notte: un letto in ferro con materasso di crine nel migliore dei casi, ma più spesso in foglie di mais (u sfujaröö), il comodino che custodiva anche il vaso da notte (u buchê), mentre il lavabo (u bassén) per lavarsi alla bell'e meglio era quello smaltato di bianco, con lo specchio, il catino, la brocca e il vaso per l’acqua di risulta. Ovviamente questa “toeletta” era da considerarsi un gran lusso…
Tutti questi ambienti in inverno risultavano difficili da riscaldare: le porte avevano fessure spesse un dito, i vetri delle piccole finestre tintinnavano con il soffio del vento e i pavimenti in legno scricchiolavano ad ogni passo, oltre a lasciar intravedere cosa c’era di sotto. Motivo per cui la stufa a legna rappresentava una salvezza -almeno per chi sapeva darle fuoco e mantenerla accesa: sì, perché per le giovani insegnanti o quelle che venivano dalla città questo rappresentava una vera e propria impresa: "Per fortuna che interveniva in loro aiuto la mamma o la nonna di qualche alunno".
Il “frigorifero” per mantenere freschi gli alimenti non era nient’altro che la finestra posta a nord, meglio se al primo o secondo piano per evitare che il contenuto dei recipienti venisse rubato o rovesciato da qualche animale: "Quando faceva molto freddo capitava che le verdure e certi altri alimenti congelassero, e allora sì che erano guai; ma per fortuna che c’erano delle brave donne di casa che ci portavano sempre ciò di cui avevamo bisogno."
In molti di questi paesini non c’era neanche il telefono pubblico o la radio, e quindi si stava anche per settimane intere senza avere notizie, comprese quelle dei famigliari. Nelle frazioni dove invece c’era il telefono, solitamente presso l’osteria o la bottega, si andava una volta a settimana per chiamare casa o per far sapere agli amici di famiglia che disponevano del telefono che "lassù" andava tutto bene.
In compenso c’era sempre la chiesa con il parroco, ma alle giovani maestre veniva consigliato dalle mamme di non frequentare la canonica, se non accompagnate, per non incorrere in spiacevoli pettegolezzi. C’è da dire che sia le maestre che il parroco erano considerati delle "autorità locali": "Spesso gli abitanti ricorrevano al prete o a noi insegnanti per consigli pratici, compilare documenti o per scrivere lettere ai parenti emigrati, tant’è che l'accoglienza per noi insegnanti è sempre stata molto calorosa e ci aiutava a superare la lontananza da casa."
Maria Pina mi racconta infine un altro piccolo aneddoto, accadutole a Illica: "Una volta, una mamma di un alunno, per ringraziarmi di alcuni favori fatti, mi voleva regalare una gallina. Così mi mandò a chiamare dal figlio e quando arrivai nell’aia c’era lei che cercava di acciuffarla e lui che la implorava: mamma, mamma, ma ne staghe miga dê a pü grossa!"
Così andavano le cose scolastiche nelle nostre frazioni una sessantina di anni fa. Un particolare "grazie" va ancora una volta alla mia “fonte” Maria Pina Agazzi per aver rievocato con tanti vividi particolari quello che a tutti gli effetti ora ci appare come un "piccolo mondo antico".
P.s.
Ringrazio la sempre bedoniese Tina Ferrari per avermi gentilmente fornito la foto di copertina, così come Paolo Salini per le altre in allegato.
Hanno collaborato a questo post:
Grande Gigi a raccontare e bravissima Maria Pina a darti il "la" per questo bellissimo quadro di tempi andati.
Scuola elementare di Anzola... negli anni 70... la mia maestra era la Laura Galluzzi Ghiorzo... la ricordo con tanto affetto... un'ottima maestra e una seconda mamma... ho avuto la fortuna di averla per tutti i 5 anni... le cose che mi ha insegnato le applico ancora oggi.
Vorrei ricordare anche le altre maestre allora ad Anzola, c'erano le 5 classi elementari distinte: Iride Serpagli, Maria Maggi, Ada Rapetti, Carmelina Delpippo.
Io le elementari le ho fatte alla Libbia, una frazione di Bedonia, fino alla terza con la maestra Giuseppina Gasparini, mentre la 4 e la 5 con la maestra Iole Bruni, le medie a Bedonia dove ce il comune.
A quei tempi non c'era il riscaldamento, ma una piccola stufa di ghisa in mezzo alla classe e noi andavamo a scuola tutti i giorni con un pezzo di legna sotto il braccio. Nessuno si è mai lamentato per il freddo come fanno adesso che hanno i riscaldamenti e se non funzionano fanno sciopero.
Scuola elementare di Bedonia nel 1952 con la maestra Contini. Ricordi bellissimi
Che bei ricordi, questi articoli sono sempre bellissimi, anche alla mia mamma i nostri amici giornalisti hanno scritto i 100 anni della Rina, bedoniese doc... che belloooooooo ricordare e soprattutto saper trascrivere le emozioni.
Grazie per le belle fotografie e il racconto.
Un caro saluto alla Tina Ferrari (mia sorella "di latte" e che ha fornito la foto in ESVASO) e un pensiero grato alla sua mamma che mi ha allattato, settimino.
Quanti ricordi e racconti emergono nella bella comunita' di Esvaso.
Grazie a tutti per la condivisione.
Claudio M
Grazie Gigi, è sempre bello leggere questi racconti vissuti che ci evocano tanti ricordi.
I ricordi mi portono al 1958, scuole elementari a Bedonia, nella sede comunale la maestra era la signora Contini, grande maestra e grande signora. Mi ricordo del sig. Maggetti custode e fac totum, poi per le altre classi sono andato a Parma in collegio.Un ricordo anche per il pasto all'asilo dove le suore preparavano una pasta calda anche con la neve, dal comune all'asilo sulla famosa passerella. Un saluto con tanta malinconia dal friuli
Montarsiccio, come ospite, quando Nonna Dina teneva la classe nei primi anni '80. La sede precedente era fatiscente e la scuola si era trasferita in uno stanzone sotto al bar del paese.
Ricordi distanti, di formíca verde acqua, calamai ancora nei banchi, dei servizi igienici (la prima volta che vidi una "turca") e di quei bambini "grandi" che scrivevano e facevano matematica in una stanza illuminata dalle finestre che davano sul prato in discesa alle spalle dell'edificio.
Un mondo totalmente nuovo ai tempi, per me. Ora totalmente antico.