Breve storia di una vita lunga un secolo
Ho incontrato la signora Maria Bernabò, una delle nostre rare "testimoni del tempo"
La signora è seduta in poltrona, spegne il televisore e ci fa accomodare. Ad accompagnarmi c’è il suo pronipote Marco: "Volete un caffè?". Le spiego il motivo della mia visita e lei, con voce ferma e in un dialetto bedoniese antico, quello con la "e" cantilenante e strascicata, che oggi in paese si fatica a sentire, mi dice: "Beh a mee stória a sarà in pô lónga da cuntê".
Ho voluto incontrarla (con tutte le precauzioni che il momento suggerisce) perché ho pensato che qualcosa di bello ed emozionante da ascoltare ci sarà senz’altro, in un secolo sono cambiate tante cose e lei è una delle poche fortunate "testimoni del nostro tempo", considerando anche da Bedonia non si è mai mossa, vivendola tutta e per tutto.
Prima di iniziare la nostra chiacchierata le spiego chi sono, e da lì intuisco immediatamente che la memoria c’è tutta ed è anche intatta, di ferro, come si dice: "Mi ricordo di tua mamma, eravamo sedute vicine a un matrimonio, ci siamo fatte compagnia… Ehh ma tu non eri ancora nato!".
La scatola di latta della "Dufour" è già aperta sul tavolo e mi riempie gli occhi. È ricolma di fotografie in bianco e nero, tutti frammenti di vite che, in gran parte, non ci sono più. Come al solito c'è dentro un po' di tutto: adulti tutti ben vestiti, bambini in calzoncini corti con i piedi sui pedali del triciclo e scene di matrimoni, oltre a molti famigliari in divisa grigioverde, i quali spedivano queste cartoline militari per far sapere a casa che stava andando tutto bene, anzi che erano vivi. Tra queste c'è anche una fotografia con una persona sorridente in posa davanti a un'automobile: "Qui eravamo negli anni '20 e a Bedonia c'erano solo tre macchine: una era di Capitelli che abitava nella villa di via Roma e poi c'erano due taxi, di cui uno era quello guidato dell'Emilia Federici".
Inizio a passare le immagini una ad una e, come spesso accade, sul retro non c’è indicato nulla, né nomi né luoghi e neppure anni. Provo a mostragliene alcune per saperne di più, e la sua memoria, neanche a dirlo, la fa da padrona, come ad esempio per la fotografia in copertina: "La bambina sono io, eravamo nel 1922, avevo circa tre anni; queste due ragazze al centro sono le sorelle Bianchedi, figlie del medico, mentre queste ai lati sono le sorelle Serpagli, Adelaide e Giuseppina. Eravamo al CIF, noi abitavamo lì, nella casa giù in fondo al viale, i miei genitori sono stati i mezzadri, Solo una delle ragazze, questa qui, la Giuseppina, che noi chiamavano 'la sciura Peppina', era la proprietaria del podere, quindi la nostra padrona di casa. Lei aveva ereditato la proprietà dal papà Francesco, farmacista, con la stessa misura dei suoi fratelli maschi: lei non era sposata e quindi le è toccato un po' di più... I érena bèn sciuri!".
Davvero una testimonianza diretta sul Serpaglio con ancora la sua storica e distinta famiglia, addirittura prima di quel lontano 1929, anno in cui passò al patrimonio dell'Asilo Infantile. Una circostanza oggi più che rara, anzi unica!
Mi aspettavo che mi parlasse anche un po' di questa pandemia che c'è in atto, dei timori che ne conseguono, ma nulla. Ero anche pronto ad ascoltare i racconti inerenti la guerra, anche in questo caso niente, intenzionalmente sorvola l’argomento: niente anni di violenze, distruzioni e disgrazie, così come niente freddo, malattie e fame. Capisco però che tutto ciò l’ha conosciuto, che non l’ha dimenticato e il “segno” ce l'ha infilzato ancora dentro. Mi dice tuttavia che in casa sua stazionarono tre tedeschi per un mese… il tre me lo sottolinea con le dita. Poi cambia discorso.
Ci tiene invece a parlare del suo lavoro, in fondo ha fatto la sarta per gran parte della sua esistenza: per 64 anni consecutivi. Finita la quinta elementare, andò ad imparare un mestiere, anzi a “tagliare” la stoffa, dalle sorelle Leoni, figlie di un capomastro proveniente dalla pianura: "Celestìn era della “bassa” ed era venuto a Bedonia a lavorare con la sua impresa. Insieme alle figlie ci rimasi sette anni".
Dopodiché, Maria, ormai ventenne, decise di mettersi in proprio. Le sorelle Serpagli le regalarono anche la loro macchina da cucire, e lei contestualmente si iscrisse alla "Scuola di taglio" a Borgotaro: "Per essere più affidabile e soprattutto 'moderna': la concorrenza a Bedonia non mancava, c'erano decine di sarti!". Erano però gli anni in cui il lavoro non mancava, e così, dopo qualche anno, assunse anche tre giovani ragazze: Bruna, Lidia e Gina Soracchi: "Loro mi davano una mano a cucire e imbastire, mi facevano guadagnare tempo, io ero troppo lunga, ma volevo essere precisa; per fare un vestito fatto bene mi serviva tutta la settimana". Ricorda anche il primo abito completo che fece: "Ero così giovane e tanta la soddisfazione di fare un vestito tutto mio... era per la Maria Berni "du Braccu".
Quando la "mano" diventò sicura e capace, si specializzò a confezionare abiti da sposa, e ricorda anche il primo che le venne commissionato: "Eravamo nel '55 e lo indossò la Dina 'de Treisette', abitava Sopra San Marco". Sottolinea che per i cartamodelli più alla moda doveva rifornirsi a Parma, così come per la stoffa più pregiata. Dopo il buon successo del primo arrivò il secondo abito, questa volta per il matrimonio di sua nipote Carla (Bernabò): "Andammo a Parma per scegliere il modello e il tessuto. Con noi c'era anche Guido (Sghia), il futuro marito... Dopo un paio di giri in centro, iniziò a dire che era già mezzogiorno e dovevamo trovare un posto per mangiare. Róbe da òmmi!". Coglie l'occasione per ribadirmi che ricorda, oltre al primo, anche l'ultimo capo che ha cucito, nel 1996: "Era un capotto per la Franca Capitelli, l'ho tagliato per terra per non rovinare il tavolo nuovo. Pensa, le avevo fatto anche quello da sposa".
Poi va a suo fratello Giuseppe e mi racconta le vicissitudini legate alla sua decisione di partire per "l'America". Eravamo nel 1926 e aveva soli 23 anni. "Peppino", lavorava da "U Gidiu", la falegnameria di Rossi in via Roma. I calli sulle mani dimostravano che ne aveva abbastanza e, nel contempo, il desiderio di cambiare vita prendeva sempre più vigore: "Nei giorni precedenti la partenza teneva le mani a bagno nella varecchina per toglierli meglio, e dimostrare alle autorità americane che lui era andato lì per fare il 'commesso' e non per fare semplice manovalanza". Non gli credettero, e rimase a Ellis Island in attesa di accertamenti. Trovò poi il modo di contattare suo cugino Severino Franchi che si trovava già a New York, e questi lo "riscattò" pagando un'imposta alle autorità americane. Il permesso concesso aveva però validità di sei mesi: visse quindi da clandestino per diversi anni, cambiandosi persino nome, e solo in seguito divenne cittadino americano. A Bedonia tornò solo due volte, nel 1949 e nel 1981.
Si è fatto veramente tardi, non vogliamo approfittare oltre della sua disponibilità. Lei ribadisce di non preoccuparsi, e che questa chiacchierata è stata un vero piacere: "Con tutti sti racconti questa notte sognerò ancora... Pensa che ieri mi sono sognata Gianni Moglia "Scarpa" che era venuto a trovarmi per portarmi dei documenti da firmare per conto della mia nipote americana Jean".
Tantissimi auguri di buon compleanno alla signora Maria. È sempre emozionante poter ascoltare questi racconti di persone che hanno vissuto in un'altra epoca. Ho avuto il piacere di indossare labito da sposa cucito per Franca dalla signora Maria in occasione della sfilata degli abiti da sposa prima edizione. Che meraviglia quellabito, quei tessuti che adesso non esistono più.
Oh Maria... Cu Signure u te conserva ancama' cusso' ben per tantu tempu...
Anche mia madre si chiamava Maria e da ragazzina era andata anche lei ad imparare a cucire, ma a Bologna da amici (dove ogni tanto mio padre la raggiungeva x un saluto intanto che si faceva sistemare il 'suo sorriso'... e lì un giorno le comprò l'anello di fidanzamento x farla poi sua sposa nel '50: 17 anni lei, 34 lui... e si amarono tutta la vita).
Tuttavia per abiti più impegnativi ci si recava 'au Mure'n' (Mulino) sotto strada dal bivio verso la Lecca, dalla Luisa e sua sorella Teresina. Due splendide e gentili creature: la prima alta, snella e dall'incedere elegante e modi fini, mentre la sorella più piccola di statura, aveva lo sguardo allegro e sbarazzino.
Io andavo spesso da loro che erano anche le cugine di mia zia Maria che abitava nella mia stessa casa. Lei mi portava spesso con se' perché camminavo volentieri nel sentiero in mezzo al bosco a differenza del mio gemello Walter che voleva sempre andare in braccio o 'in cavale'... Andavamo spesso anche all'osteria dopo il ponte Lecca che a quei tempi era gestita da sua sorella Carmelina e Mario e mentre lei aiutava in cucina a preparare tortelli e anolini io mi divertivo col loro figlio Flavio che girava x sostituire i quartini di vino ai giocatori di briscola.
Poi mi mostrava i quadri appesi dove lui era ritratto fiero, pettinato con la sua 'banana' bionda... inamidata con lo zucchero... e in mezzo a gruppi di cacciatori coi piedi sulle file di prede di cinghiali.
Però prima di tornare a casa... salivamo sulla Topolino dismessa parcheggiata vicino al gioco da bocce e idealmente partiamo x un giretto x fantomatiche strade sassose... sconnesse... imitando motore a scoppio e fantasiosi incontri.
Troppo presto veniamo distolti dai richiami di zia Maria che x non farmi sentire la stanchezza della lunga strada verso casa, mi raccontava storie incredibili facendomi trovare tesori nascosti dalla natura incontaminata dove sentivi solo lo scorrere del ruscello, il fruscio del vento tra le fronde e il canto degli uccelli...
Il gruppo di case del Mulino... in riva al Ceno... dove un tempo si andava anche a farsi macinare il grano... fa parte di Scopolo come anche la Lecca, i Gravani e i Pisse'.
Mentre ai tempi nostri il territorio scopolese si ferma alla Lecca prima del ponte. Le due sartine infatti, ogni domenica e feste comandate, bello o brutto tempo, non mancavano mai alla messa e alle prove di canto e ogni volta passavano a salutare mia madre e i miei nonni vicini alla chiesa.
Le ultime volte che le ho viste mi decantavano le doti e la bontà dei 'miei'... Ne gh'era vo'ta chi ne ne ciamessena per fa' ne scada' e suga' i pe' da' ra. Slambrocia e da' ne quarco' de cadu o se gh'era cadu... quarco'de frescu....
Ohime che brava gente! Luisa... Teresina... da un po' siete tutte insieme e sono certa che vi tenete compagnia e parlate sempre di noi e del nostro amato paese.
La lentezza dei questi ricordi è la cosa che più mi affascina. Io credo che gli eventi a quel tempo fossero molto di meno di oggi e quindi il ricordo rimane più netto nella mente. Oggi facciamo tante di quelle cose nello stesso giorno che non abbiamo più l'abitudine di ricordare, di raccontare.
Ogni famiglia ha la sua storia, a volte queste storie hanno un fascino particolare. Bello anche gli intrecci dei cognomi bedoniesi. Proprio in questi giorni sto facendo un po' di pulizia nell'albero genealogico e è stupefacente come i nomi delle moglie e dei mariti dei miei antenati siano sempre gli stessi. Silva, Serpagli, Taburoni, Mariani...
Anche le foto, soprattutto quelle fino agli 40 e 50 sono dei veri e propri capolavori, oggi è un click sullo screen e via...
Claudio Agazzi
Bravo Gigi, unaltra bellissima storia della nostra vita Bedoniese, mi ricordo molto bene della Carla e Guido Sghia, la Franca Capitelli, sorella di mio cognato Angelo, e la signora Federici che era lunica donna che guidava la macchina.... e io come ragazzina pensavo che un giorno avrei guidato anchio, e ce lo fatta...
Di nuovo grazie con un abbraccio grande.
Caspita, mio padre, bresciano, fu partigiano a Bedonia. Chissà, forse vide la signora Maria. Nel suo memoriale ci ha lasciato molte testimonianze di quel periodo e scrisse di due sarte di Montevacca'.
Complimenti a te Gigi per l'articolo e alla centenaria "signorina" Maria Bernabò, la sarta del Serpaglio. Davanti alla cui casa si passava quando s'andava da bambini a giocare sui "sette" (?) franosi colli che dividono Bedonia da Compiano. Magari anche a prendere un ginepro per fare l'albero di Natale. Che memoria!
"U Gidiu", il viaggio a Parma per comprare la stoffa pregiata per il vestito di nozze di sua nipote Carla, Gianni Moglia (Scarpa), ecc. Quante cose lei sa che noi non sappiamo o che sappiamo vagamente (con censure) per sentito dire.
Comunque tu Gigi sei proprio un "predatore" di foto dimenticate ma sempre molto interessanti.
Peppino Serpagli
La ricordo vagamente, andavo alle prove dell'abito da sposa di Dina, mia cugina la sua prima cliente.
Auguri di buon compleanno.
Grazie Gigi, come sempre fantastico
Tanti tanti Auguri Maria. Il primo abito creato era per la mia nonna materna
Bisogna sempre ascoltare le persone che hanno molto più esperienza di noi. Queste possono fornire a chi è più giovane dei validi consigli, che sarebbero da seguire o quantomeno da ascoltare. Quando abbiamo di fronte persone "ricche" come questa signora c'è la consapevolezza che la "verità" si manifesti come un distillato di vita da cui noi possiamo attingere. Persone come queste ne sanno sicuramente una in più del diavolo e ascoltare le loro storie, senza mai un briciolo di supponenza, rende in qualche modo felici anche noi che ne beneficiamo. Tanti aguri signora Maria.
Che memoria invidiabile!!! Una persona che ha dedicato la sua vita al suo lavoro. Come anche la nipote Carla, erano le sarte di Bedonia. All'epoca tutto si confezionava dalle sarte si acquistava la stoffa: Gennari, Camisa, Cardinali... erano bei tempi x lo meno si scieglieva stoffe colori modelli i consigli della sarta. Oggi siamo di "allevamento" tutto uguale. La Maria mi aveva confezionato l'abito da sposa. Per la stoffa eravamo andate insieme a Parma ad acquistarlargrazie alla sua disponibilitaà e competenza.
La ricordo con piacere e poi x andare da lei al Serpaglio con le amiche facevamo un giro. Basta Gigi con te mi perdo nei ricordi.
Tanti auguri alla signora Maria e complimenti alla corale lirica valtaro per la bella iniziativa!
Ho sempre adorato queste storie che ci fanno far un balzo indietro Nel tempo lasciandoci immaginare per un attimo cosa potesse significare vivere in quell'epoca. Bravo Gigi