Camera, gabinetto e balera
Il 'lusso' offerto ai turisti nei nostri alberghi non era un granchè, ma erano tutti ugualmente ambiti
Il più noto era senza dubbio l’Albergo San Marco, unico hotel sopravvissuto al mutamento dei tempi: anche qui, dove ora c'è il bar, c’era la terrazza. Proprio come nel vicino Bar Mellini, dove la terrazza, nei mesi estivi, fungeva da balera: “Eravamo nel periodo della canzone Amado mio di Rita Hayworth, un successo dovuto al film Gilda”. Un posto strategico per le ragazze da maritare: sì perché, sotto a quel pergolato, c’era la speranza di incontrare il bell'ufficiale in divisa verde, in quegli anni di stanza a Bedonia per le esercitazioni: “Nei romanzi d'appendice di Liala i ‘principi azzurri’ erano aviatori, a Bedonia erano gli ufficiali dell'esercito...”. In allegato un paio di fotografie gentilmente concesse da Donatella Serpagli.
Al di là del portico c'era l’Osteria del Moretto, di proprietà dalla famiglia Serpagli (in allegato la foto del "Moretto"), poi passata di mano alle cinque sorelle Biolzi, dette Palanche: locale diventato subito “di moda”… in questo senso, la bellezza femminile non ha eguali. E furono le stesse che, successivamente, crearono in viale Europa il bell’Albergo Biolzi: “Nella casa retrostante ci abitativa il benemerito dottor Riccardo Mantovani”.
In via Garibaldi, di fronte alla piazza del Municipio, c'era la Locanda del Mercato gestita dalla famiglia Serpagli Ninón, ed in seguito condotta direttamente dai proprietari, la famiglia Squeri u Rissu, fino alla chiusura negli anni ’80.
In via Trento, vicino al Cinema Orfeo, c'era l’Osteria “du Peritu”, gestita dagli stessi genitori della “nostra” Maria Pina Agazzi: “Ricordo che lì alloggiavano, per tutta la durata delle lezioni, due professori di lettere che mi furono particolarmente cari durante le mie scuole medie, dette 'del Maestro Rossi', che non erano scuole statali ma organizzate privatamente”.
Le sorelle Lia (cuoca) e Anita (cameriera) gestivano invece la Pensione Barbieri a Pansamora, un luogo magico, di gran richiamo e chic per quel tempo, sia per la cucina di qualità che per le serate da ballo che lì venivano organizzate, particolarmente quelle in estate nella “rotonda” al centro del giardino: “Da casa mia, in via Mons. Checchi, vedevo passare molti degli ospiti del ‘Pansamora’: tra questi maestre o professoresse originarie della Bassa, e che tornavano in montagna nonostante la scuola fosse chiusa”.
C’era anche un’altra pensione dove ora c'è la pizzeria "La Pieve": quella della famiglia Salini Bindelén, poi diventata Osteria “de Giuvachén”, dove sul retro c’era un campo da bocce molto frequentato dai Bedoniesi.
In paese c’erano molte altre osterie (nel prossimo racconto con Maria Pina le citeremo), ma non fornivano alloggio, c’è però da aggiungere che, tra quelle senza posti letto, vi era la consuetudine di “appoggiare” i propri clienti presso camere da letto di abitazioni private… una pratica premonitrice dell'albergo diffuso, così si chiamerebbe oggi.
Anche nei dintorni di Bedonia erano presenti strutture ricettive, come ad esempio in Alta Val Ceno. Anzola era considerato un luogo ameno, più per un turismo “chic”, infatti esistevano tre attività: "da Marco", "dalla Rina" e "da Pietro ", oltre a quella di Chiappari a Ponteceno, c’era Locanda Iolanda a Masanti e quella di Ponte Lecca, tutti esercizi con cucina e alloggio.
Un’altra curiosità, relativa ai “comfort” di allora, è che nessuno dei suddetti alloggi disponeva di stanze con servizi igienici privati. Solitamente c'era un bagno per piano, e in alcuni luoghi la carta igienica non era quella che oggi tutti conosciamo. Per "scandaloso" che possa sembrare, sempre rispetto agli standard di oggi, nei gabinetti di allora si faceva largo uso di fogli di giornali tagliati a rettangolo: in pratica si trattava di quotidiani "scaduti" che si acquistavano nelle edicole, dalla Belèra o da Bagnétta, a poco prezzo.
Come si è potuto intuire, il "lusso" offerto ai turisti nelle nostre pensioni, osterie e albergi non era un granché, ma erano tutte strutture ugualmente ambite.
Hanno collaborato a questo post:
Purtroppo, da osservatore, ho notato che spesso ove ci siano state nuove iniziative private per 'ravvivare' con costanza e regolarita' le serate estive con balli e musica (gia' organizzativamente operazioni onerose e burocraticamente 'tediose') la scelta di orari e limiti ha portato a far prevalere le esigenze del sistema nervoso di alcuni rispetto alla voglia di socializzazione e divertimento di altri 😎😊.
La mia bisnonna Marianna che dalla bassa parmense, col marito Desiderio era finita a vivere a Spora, Travaglini, Romezzano. Per arrotondare le sue misere entrate, andava a lavorare alla Pergola e il cibo cotto in più, glielo davano da portarsi a casa e lei, dimenticando la stanchezza, tornava a casa felice.... Sua figlia invece, nonché mia nonna Ida, anni dopo mi aveva portato x la 1' ed ultima volta a Bedonia per far spese. Avendo fatto tardi, mi aveva portato all'albergo San Marco ed io mi sentivo ricca: non riuscivo a credere che eravamo sedute in un ristorante... servite e riverite... come fossimo signore! Sono passati più di 50 anni, ma ricordo ancora il menu: minestrina, scaloppine e fagiolini per lei, cotoletta e patate fritte per me. E credo che un pranzo così, non l'ho mai più mangiato!!!
Erano ormai passati gli anni in cui, ancor più piccola andavo con mia zia Maria dei Pariotti dove vivevo, alla trattoria del ponte Lecca. Allora era gestita dalla sorella Carmelina (figlie di Giuseppen e Meghina dei Pilati) e marito Liviu di Succon. Mi portava volentieri con sé perché camminavo volentieri, perché il mio fratello gemello Walter era pigro e avrebbe dovuto portarlo in braccio. Giu', nel sentiero che da scopolo conduceva quasi al mulino dove aveva i nonni materni. Poi proseguivamo verso quella lunga casa col pergolato di uva frambosa e un gioco da bocce dove Tognu si dava un gran da fare per aiutare i suoi amici che lo accudivano. Io davo una mano a sistemare i tortelli e anolini che le due donne preparavano insieme ai dolci e torte salate.
Poi mi divertivo con Flavio, quasi mio coetaneo e figlio degli esercenti, fingendo di guidare la loro Topolino parcheggiata sotto un enorme pianta ancora esistente: col motore a fiato, percorrevamo in lungo e in largo le fantomatiche praterie e le innumerevoli curve che con la fantasia ci portavano al nostro paese. Prima di salutarci però, mi faceva fare il giro della sala più grande che spesso fungeva da balera e mi mostrava le foto dei cacciatori che avevano ai loro piedi le prede di cinghiali e lepri.
Lo scriccioletto Flavio con la sua 'banana inzuccherata' sulla fronte, stava fiero in mezzo alle canne da fucile e dopo avermi salutato... scappava a sostituire i fiaschetti di rosso che i gruppi di giocatori di carte, facevano sparire in un attimo. Superando il torrente Lecca che si univa al Ceno e guardando il paesaggio montano di rara bellezza mi giravo per l'ultimo saluto alla Carmelina e mi accingevo ad ascoltare le lunghe e fantastiche storie della mia zia Maria...