La Colonia Antonio Devoto
Giacomo, ex alunno della struttura, racconta la storia del collegio sul monte Zatta
Questa storia inizia proprio da lui, da Giacomo, ex alunno della "Colonia Antonio Devoto", costruzione iniziata nell’Anno Domini 1932 – X E.F., quella che si erge maestosa nella fitta faggeta alle pendici del monte Zatta, nel Comune di Mezzanego (GE); quella che tutti coloro che transitano per il Passo del Bocco difficilmente non notano. Con lui sono salito fin lassù, a quota 1.145 metri, per farmi raccontare dalla sua viva voce, sul campo, senza il “condimento” delle tante leggende che purtroppo oggi tormentano questo luogo dalle tinte gotiche, quella che fu la sua esperienza all’interno di questo complesso, ormai in stato di abbandono da oltre trent’anni.
Ci sediamo dentro ad una di quelle immense stanze (lì tutto è grande e smisurato), in una delle decine di camerate, disposte ai lati di sconfinati corridoi che si snodano attraverso ben cinque piani… sopra a una rete metallica, o meglio su quel che rimane di uno delle centinaia di letti in ferro… sì, lì non ci vuole molta fantasia per richiamare alla mente il famoso Overlook Hotel nel film Shining.
C’è un silenzio autentico, e le sue parole, i suoi nitidi ricordi d’infanzia, riecheggiano tra quelle mura, graffiate da sedicenti "cacciatori del brivido" (voglio essere gentile), e col contorno di infinite finestre rosse: 365 per la precisione, una per ogni giorno dell’anno, e tutte con i vetri rotti…
Inizia col raccontarmi che lui si trovava lì, a partire dal 1955, perché figlio di invalido di guerra, in quanto ché non tutti potevano frequentare il “collegio”, costruito secondo le volontà filantropiche di Antonio Devoto (1833-1916), un Lavagnino emigrato in Argentina, dove fece notevole fortuna come imprenditore e banchiere, arrivando ai vertici della scala sociale. Fu poi qualche decennio dopo, la determinazione della moglie, Elina Piombo, ad attuare la generosità e la lungimiranza del caro marito, fino ad erigere questa imponente struttura, allora all’avanguardia, con la funzione di centro per bambini orfani, bisognosi e cagionevoli di salute, tant’è che ai tempi veniva chiamato “Sanatorio” (in allegato foto dell'epoca).
Tra le mani il nostro Giacomo conserva ancora, e gelosamente, il “regolamento” che vigeva per l’ammissione e poi per il convitto (PDF in allegato). Basterebbe rimandare a quel foglio di carta ingiallito per non dover aggiungere altro a questo nostro racconto: lì sopra c’è indicato tutto, nulla era stato tralasciato. Vi si percepisce perfino quello che era lo stile di vita all’interno della struttura: disciplina ed educazione, il tutto in un contesto di "tempi da vacche magre”.
Giacomo Granelli esce dalla Colonia Devoto nel 1960 con in mano la licenza di scuola elementare, dopodiché torna dai genitori a Pianlavagnolo, sobborgo a monte di Santa Maria del Taro e già in “odor di Liguria”. Quel che più mi colpisce, e un po' anche mi stupisce, è il bel ricordo che egli conserva ancora di questo luogo. Si sa che i collegi, in quel periodo, rappresentavano una formula educativa non facile, soprattutto per un bambino: per cui vederlo ancora oggi sereno, senza rimpianti e determinato a riconoscere quella che fu la sua condizione di “collegiale” mi rincuora, e fa mutare anche la mia percezione del luogo, che prima dell'incontro era caratterizzata da un fondo di angoscia, complici quelle mura oggi violate, silenti e desolate.
I suoi cinque anni me li riassume così, in poche righe, visto che lassù i giorni erano tutti uguali, Natale e Ferragosto compresi: “In quell’ala destra c’erano i maschi, nell’altra le femmine, eravamo circa in 150; in ogni camerata dormivamo in ventiquattro per mezzo di dodici letti a castello; nella lavanderia e nella cucina al piano seminterrato ci lavoravano gli unici civili del collegio, sì perché tutto l’andamento del complesso era invece gestito dalle suore.
Le nostre giornate erano in pratica sempre le stesse: alle sette passava la suora a svegliarci, giù dal letto per inginocchiarci a mani giunte per recitare l’Ave Maria; colazione al refettorio con caffelatte e “gallette”; in aula per la scuola; pranzo con breve pennichella; poi ancora in aula per i compiti; merenda con biscotti ripieni di cioccolato e poi a giocare nel parco, tra gli alberi del bosco, dietro la porcilaia o alla casa del custode, il signor Vaselli di Chiavari; stanchi rientravamo per la cena; poi pigiama e branda. Un giorno a settimana, prima di andare a dormire, proiettavano un film in bianco e nero, solitamente le comiche di Stanlio e Ollio. Alla domenica, naturalmente, la Messa nella cappella al piano terra. Invece, ogni due settimane, salivano il dottore e il dentista… ricordo che mi cavò un dente senza anestesia, però poi non avevo più male.”
Da notare che lavanderia e cucine erano rifornite per mezzo di una teleferica, che collegava il Collegio con il Rifugio Devoto al Passo del Bocco, anche questo opera dello stesso Devoto.
La colonia rimase in funzione fino alla fine degli anni '60, poi venne chiusa. La proprietà passò poi di mano: ad acquisirla la Regione Liguria, la quale, negli anni ’70, la destinò a centro di recupero per tossicodipendenti. Poi l’abbandono, il degrado, la distruzione di porte, finestre e quanto ancora sussisteva al suo interno. Un vero peccato, perché l’edificio è ancora in perfette condizioni strutturali, senza la benché minima scalfittura del tempo.
In questo momento è di proprietà dell’associazione milanese “La Madonna del Bosco”, c’erano un paio di progetti di recupero, tra cui una residenza per anziani e un hotel con centro benessere, ma per ora nulla è stato realizzato. La speranza è sempre l’ultima a morire.
Giacomo, adesso con aria dispiaciuta, mi fa capire che è giunta l’ora di scendere, i suoi tre amici lo stanno aspettando al bar “del passo” per la briscola quotidiana. Una giornata pregna di belle parole, di una storia senza rimpianti e di sorrisi autentici. L'essenza della vita.
Racconti Emigrazione Personaggi Case in campagna Escursioni Persone Curiosità Ricordi/Storia Fotografia Bedonia Tornolo Liguria
PDF: regolamento di ammissione
E anche questa volta hai fatto centro! Che bello questo racconto arricchito con i ricordi di Giacomo. Bellissime e molto suggestive le tue foto. Altri tempi quando le stanze echeggiavano con le voci dei bambini.
Quando vi andai qualche anno fa, rimasi colpito soprattutto dalla qualità della costruzione e dei materiali. Ci sono ancora le piastrelle sui terrazzi e l' intonaco è ancora relativamente in ordine. Cose che adesso ci sogniamo dopo qualche decina di anni. Sicuramente, con pochi mezzi, ma c'era una cura maggiore per i materiali usati, le maestranze erano "capaci" e chi doveva controllare faceva il suo mestiere.
Lo sai Gigi cosa mi ha colpito soprattutto del tuo bellissimo servizio fotografico?... un colpo al cuore per la bellezza delle immagini, per i ricordi struggenti che emanano quelle foto,per la storia che gronda da quelle rovine...mi ha colpito quella scritta sulla porta FONDAZIONE ANTONIO DEVOTO. Chiara , semplice, ti parla già delle motivazioni di un progetto così BELLO, aperto ai ragazzi. E poi arriva l'incuria e l'ignoranza abissale degli Enti preposti alla cura ed alla conservazione di questi gioielli, che lasciano cadere a pezzi senza muovere un dito.
Uomini miopi che vedono SOLO le motivazioni dell'oggi e non guardano al Futuro , come aveva invece fatto con generosità e lungimiranza Antonio Devoto "qualche anno fa".
Io ho soggiornato lì una settimana, nel 78 o 79, con i gruppi studenti della Parrocchia di San Giovanni di Chiavari. Dentro funzionava ancora tutto, camere, cucina, sala pranzo e sala teatro. Belle giornate e serate estive.
Penso che il signor Devoto e moglie da Lassù abbiano una continua stretta al cuore vedendo il frutto del loro lavoro e della loro generosità abbandonata al Nulla...è triste vedere come nessuno si sia sentito in dovere di curare il loro prezioso dono! Come sempre l'Uomo di Oggi non sa guardare né al Passato né tantomeno al Futuro...peccato.
Perché non farci un film??