A féra du bagnón e altre piccole storie

Usi, costumi e mestieri legati alle fiere di una volta
E' sabato mattina, Maria Pina la incrocio in Via Trento, le solite due chiacchiere e una considerazione sul mercato di oggi, poi mi indica l’ufficio postale: «Vedi là? Una volta non c’era neanche una casa, era tutto prato e c’era il foro boario...».
Da questa considerazione capisco che questa volta mi parlerà di usi, costumi e mestieri legati alle fiere di una volta. Le sagre erano più una necessità dello spirito, spesso legate a ricorrenze di culto, mentre i mercati e le fiere potevano essere considerati un vero e proprio mezzo di sussistenza, sia per venditori che acquirenti.

Le date note sono sei, alcune sopravissute al tempo: a maggio con la fiera di primavera; la seconda domenica di luglio per la Madonna di San Marco; il 2 agosto per la fiera d’estate; il 14 settembre a féra du bagnón; il 2 ottobre a féra di fighi e infine quella del 25 ottobre a féra d’invernu, occasione quest'ultima per acquistare scarpe “grosse” e vestiti “pesanti”.

Le fiere di Bedonia, almeno fino alla fine degli anni ’50, erano quasi esclusivamente indirizzate alla compravendita di bestiame e il luogo designato era a Ciôsa (la zona è quella dove oggi è presente l’ufficio postale), un tempo disseminata di paletti e sbarre in ferro, in modo che i contadini ci potessero legare gli animali e metterli appunto in bella mostra per la vendita. L’area era attrezzata per lo scopo: canali per l’acqua, di scolo per il letame e una grossa fontana per tutte le occorrenze. C’era persino un vespasiano, ma solo per gli uomini: si vede che le donne, a quei tempi, erano considerate a “tenuta stagna” (forse, perché i mercati di bestiame erano frequentati quasi solo da un pubblico maschile?).

A seconda della stagione cambiavano gli animali in vendita: in primavera mucche e manzi, mentre in estate i buoi per arare: uno più alto per stare nel solco e uno più basso per stare nella terra non ancora arata. In autunno si aggiungevano le gabbie di legno per contenere i maialini della Toscana e greggi di pecore e capre.
Gli acquirenti di queste bestie non erano solo locali, ma provenivano un po’ da tutta la provincia, oltre che da Liguria, Lunigiana e Piacentino. Fra muggiti, grugniti e belati, si sentivano le voci grosse dei venditori con la mano sul dorso della mucca: «Piccia chì, e a vacca l’è a tò!», oppure «Tùccheghe u péttu, e te sentirê!» e in quel momento, effettivamente, usciva il latte da far credere che la mucca fosse molto produttiva, cosa che invece dipendeva dall’averle fatto saltare la prima mungitura.
In talune occasioni venivano portati anche i tori, vere attrazioni per i bambini, in quanto simbolo di forza: infatti erano legati con grosse funi, anello al naso e paraocchi.
Le mogli dei venditori giravano per Bedonia, nei negozi o nelle osterie per vendere uova, burro, ricotta o galline, e con il ricavato portavano a casa zucchero, olio e qualche paio di calze velèje; chi invece poteva permettersi una bella permanente, si infilava dalla parrucchiera: da Tea e Carla (Lagasi), dalla Cesira (Mariani) o dall’Antunina (Biasotti).

Poi c’era il mercato vero e proprio, con i banditori che piazzavano piatti e stoviglie e gli ambulanti delle scarpe con stringhe e bruchétte (chiodi corti e a testa larga fissati sotto alle suole delle scarpe); i ciarlatani che proponevano “i pianeti”, i quali avevano un trespolo con sopra un pappagallo che sceglieva l’oroscopo (pianeta) in cambio di qualche moneta; gli strilloni della “Gazzetta di Parma” e del “Resto del Carlino” con i loro proclami; il parmigiano Amelio Zambrelli “Esperto atmosferico della Gazzetta", con il suo inseparabile ombrello, che annunciava il tempo della settimana; infine, i venditori di stoffe per farsi confezionare dalle sarte il vestito della festa e le più famose del tempo erano: l’Armanda du Séseru, l’Angiulina du Frédu, a Lina du Lisö e a Maria da Murinèra, sorella della celebre stilista d'Alta Moda Clara Centinaro.

Anche Guido e Bruno mi hanno poi confermato che la fiera più grande, popolare e frequentata era quella che cadeva nella giornata del 14 settembre, conosciuta come a féra du bagnón, e il motivo è presto detto: in quel giorno il temporale era assicurato!

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FOTO: fiere e mercati di una volta - Archivio Bruno Cavalli



10 Commenti
  1. Dolores

    (tratto dal mio libro di ricordi...)
    Al ritorno, costeggiando la riva del Ceno, su una corriera di Carpani, come sempre stracarica di 'roba' e stipata di gente all'inverosimile, che si aggrappava dove poteva, tanto che quello che era troppo ingombrante, un volontario lo sistemava meglio che poteva sul tetto: dai sacchi di cemento, ai rotoloni di filo di ferro, alle gabbie stipate di polli. Poi ci si avviava strombazzando e ballonzolando sulle buche, inclinandosi ad ogni curva. Che salti! Ad un certo punto, all'ennesima , curva, il tetto, solitamente convesso, con un sinistro 'clac', si fece di colpo concavo! Tutti istintivamente, alzando gli occhi, ritirarono la testa tra le spalle piegandosi, le mani sulla testa, chi a destra, chi a sinistra. Si continuò così il viaggio tra una battuta ironica e una risata e ai miei occhi di bambino, non erano proprio le avventure della diligenza OMBRE ROSSE, ma un po' di avventuroso c'era stato...

  2. Remo Ponzini

    Mi sono sempre piaciute le foto del passato perchè ti fanno rivivere i tempi che furono e, al contempo, hanno il potere di illuderti, seppur per pochi istanti, di essere tornati bambini e/o giovincelli.

    Quando poi arrivavano le fiere era giorno di festa perchè il paese tracimava di banchi ripieni di ogni specie di merce ed il foro boario si trasformava in una immensa stalla a cielo aperto. A quei tempi non c'erano molti modi per distrarsi e quindi erano occasioni in cui si potevano scoprire cose nuove.

    Gli animali esposti erano una meta privilegiata. Ricordo che ai bambini non consentivano di entrare sia per il pericolo di qualche toro imbizzarrito e sia perchè eravamo solo d'impaccio alle trattative in corso. Allora andavamo a curiosare in via Divisione Julia dove, una rete di protezione, impediva il contatto con gli animali. Provano interesse per la figura del "mediatore" per il linguaggio caratteristico che usavano. Costui, in cambio di un compenso, si affannava a trovare un prezzo che soddisfacesse acquirente e venditore.

    Ma con il passare degli anni le frazioni si svuotarono perchè gli abitanti andavano a cercare un lavoro più redditizio in città o all'estero. Di conseguenza, con la riduzione degli animali, anche il luogo dell'esposizione si sfoltì sempre più ed alla fine fu trasferito (sotto ai tigli) nei pressi del Pelpirana a sud del ponticello in legno pedonale che conduce al Parco Cattaneo. Ci sono ancora le strutture in ferro dove venivano legati bovini ed equini.

    (Complimenti Dolores, hai riportato un brano molto divertente. Io non ho fatto cenno alle corriere di Carpani perchè l'episodio citato non ha eguali. Speriamo di leggere altri brani così divertenti).

  3. Dolores

    Il signor Remo: quale onore! Grazie.

    In quel periodo, si viveva di adattamenti ingegnosi e di 'rimedi arrangiati' del luogo che agli occhi di bambino, specialmente per quelli venuti 'da fuori', apparivano 'da selvaggio ed affascinante west', come quando successe un altro incidente ad una corriera lungo il Ceno.
    Il serbatoio di fortuna era un bidone fissato sopra il parabrezza, quasi sulla testa dell'autista e collegato con un tubo dotato di una valvola, che spariva in basso, entrava nel motore da qualche parte. Forse mancava la pompa di benzina e si sfruttava la forza di gravità. Ad un certo punto del percorso, tutto curve, strombazzamenti e nuvole di polvere, mentre io mi immaginavo su una diligenza che avevo visto nel film 'i 3 moschettieri', con tanto di corno e postiglione, vedemmo una lingua di fuoco che, evidentemente usciva dal motore, si allungava verso il serbatoio, salendo rapidamente lungo il tubo. Sulle grida d'allarme dei passeggeri, si sentì FUORI TUTTI dell'autista che chiuse la valvola, rimanendo però, nel fuggi fuggi generale, a bordo, come i capitani di una volta, sulla loro nave in avaria.
    Aveva risolto il problema in breve e fece risalire tutti, che sollevati e anche un po' divertiti, proposero però, per precauzione, di lasciare la porta aperta...

  4. Nicoletta

    E difatti caro Gigi, io sono nata proprio il 14 settembre alle 8 di sera e, stando ai racconti, veniva un'acqua....

  5. Peppino Serpagli

    Come parrucchiera per signore c'era anche la Gigina de Pudì (Ponzini), sorella di Nilo e Ponziano. Ricordo vagamente che aveva il negozio davanti all'Asilo, prima ancora che "U Veregu" (padre di Crispiniano Serpagli) costruisse la sua casa.
    Peppino Serpagli - Milano

  6. Pia Moro

    Molto interessante, grazie per averlo condiviso mi ha riportato agli anni della mia fanciulezza.... Bravo Gigi!!!

  7. Remo Ponzini

    Cara Dolores, ho letto il secondo episodio proprio ora ed anche questo, oltre ad essere divertente, descrive una spaccato di vita di quei tempi che ai giovani parrà inverosimile.
    Noi non ci stupivamo più di tanto perchè tutto quello che accadeva era pane quotidiano fatto di imprevisti imprevedibili e di vissuto intenso e picaresco.

    Vissi anch'io una avventura al limite della tragedia. Ero in seminario ed un giorno ci portarono con due corriere sino a Pione (la strada finiva lì) e poi procedemmo a piedi sino al Passo delle Pianazze dove, tutt'ora, c'è la Sede estiva del seminario di Piacenza. Alla sera percorso inverso ed io capitai nel seconda corriera guidata dal Cav. Lino Carpani in persona perchè non c'erano altri autisti disponibili.

    Ma giunti a Masanti, con il buio incombente, successe che i fanali smisero di svolgere la loro funzione. Si procedette ugualmente, senza eccessivi patemi, sino a Montevaccà ma ormai era notte. Si imboccò la discesa a passo d'uomo ma fu tutto un susseguirsi di frenate violente che fecero rivoltare lo stomaco a tutti i seminaristi con le conseguenze che ti lascio immaginare. Arrivammo stravolti con un tanfo indescrivibile ma sani e salvi. Forse ci protesse la Madonna di San Marco.

    Ciao,a presto e fatti risentire.

  8. Dolores

    Sono sempre qua Remo e mi intrufolo quando trovo 'ricordi' che ricerco e che poi trascrivo nel mio libro 'il mandarino nella scarpetta', perché i miei posteri sappiano 'da dove vengono'. E' un modo per far rimanere verdi i ricordi dei miei genitori, dei miei nonni e del mio amato Scopolo e dintorni.
    Ti 'leggo' sempre molto volentieri e grazie del saluto che contraccambio: alla prossima.

  9. Enrico "Giulio" Serpagli

    Caro Gigi,
    tutte le volte dovrei mandarti i miei complimenti per i tuoi “quadri” di vita
    bedoniese ma questa volta non non posso farne a meno. Bellisimo il “quadro” su la “fera
    du bagnon” che ricordo e che mi riportato ai tempi della mia giovinezza. La “ciosa”, i
    commercianti di animali (c’era anche mio zio Ferruccio che “trattava” soprattutto quelli
    che una volta erano i famosi “vitelli da latte” della Valle).
    Quando ho letto dei venditori di “brucchette” mi sono venuti in mente i miei rumorosissimi scarponi con le “brucchette” che più che una funzione “antiscivolo" avevano la funzione “antiusura” per preservare il cuoio della suola. Alle medie, quando il professore mi interrogava, mi vergognavo sempre del rumore che inevitabilmente facevo nel tragitto dal banco alla lavagna.
    Basta con gli “amarcord” e un caro saluto.

  10. Pep

    Intanto in altri posti, forse meno belli paesaggisticamente, ma evidentemente più combattivi, la tradizione continua.

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